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15.5.2022. Gremanu
“Eja che andiamo a Gremanu” è l’invito di Giammichele al quale avevamo chiesto se lo conoscesse. Come se qualcosa potesse sfuggire a Giammichele che conosce la Sardegna sopra e sotto. Perché Gremanu ci è stato suggerito dalla guida di Su Romanzesu “è nel territorio di Fonni, molto difficile da trovare ma è unico del suo genere, un santuario nuragico federale dove c’è anche una nuragica canaletta dell’acqua”. Veramente difficile da trovare ma il navigatore di Sergio, i ricordi di Giammichele, nonché la provvidenziale apparizione di un locale, ci dicono essere qua, dentro un viottolo con cancello dove bisogna attraversare un bel corso d’acqua, peraltro senza ponticello alcuno. Problemi zero, abbiamo scarponi impermeabili anche per Giammichele, siccome zattere passiamo dall’altra parte per immergerci nel sito archeologico veramente suggestivo con il megaron, la capanna per le fusioni, la famosa canaletta d’acqua il tutto circondato da un boschetto di querce dal sapore celtico (che con i nuragici non c’entra niente ma ci sta bene). Ritornati sui nostri passi, compreso il guado del torrente, dobbiamo cercare le tombe dei giganti meglio conservate della Sardegna che sono a Madau, poco distante. Stavolta ci affidiamo al ricordo di Giammichele che ci fa percorrere 4 volte la stessa strada, avanti e indietro, buon per me che ho trovato la ginestra vattelapesca gennargentana, le Anacamptis longicornu e le Orchis provincialis. Bon. Sergio alla fine si ricorda di aver intravisto, venendo, un cartello indicativo del sito per cui ci arriviamo, potendo ammirare le tre meravigliose tombe. La quarta la trovo io, immersa nella vegetazione, mentre sto fotografando il Thymus herba barona. A dire il vero non so se sono rimasta più emozionata dalle tombe o dal timo, che mai pensavo di poter scoprire così impunemente fiorito, addossato al granito della tomba. Magia nuragica. Per mangiare scegliamo un’area picnic nei pressi del Lago Olai, mi ricordo di esserci già stata e aver trovato il Leucojum aestivalis, presente anche oggi. La giornata è andata ottimamente, compresa la festa che, ogni volta, ci fanno Pietro e Maria con l’ognibendiddio che ci offrono. Ospitalità sarda, direttamente dal nuragico.

16.5.2022. Verso Orudè
Ci manca Monte Omene, mai stati, eppure si erge impettito e calcareo sopra il Cedrino, al di là del vallone di Orudè, l’università di Pietro. Chiediamo lumi a Giammichele che ci racconta di nurre fonde e large alle pendici il monte. “Non potete sbagliarvi, scendete per stradine, attraversate recinti e superate il Cedrino”. Si, proprio. Tanto per cominciare partiamo tardi, secondariamente imbocchiamo strade sterrate portanti a recinti chiusi, tancas serrada a muru, finalmente eccoci nella pantanosa località Canudedda, e l’apparizione di un locale ci conferma che siamo sulla giusta strada. “Per Orudè scendete questa strada, in un quarto d’ora, mezz’ora siete al Cedrino e lo attraversate”. Si, proprio. Scendiamo avendo sulla destra Monte Coazza, laddove vediamo due vecchiotti, su per giù come noi, che armano una parete. Ci parlano in inglese chiedendo di chiudere il cancello, “fatto” rispondiamo pensandoli stranieri, per cui ad alta voce commento che i vecchi si divertono per monti e i giovani stravaccati sul divano con lo smartphone. Scendiamo a s’adde, sulla sinistra abbiamo il Corallinu, incappiamo in una bella sterrata che, a saperlo, ci avrebbe portato qua senza colpo ferire, così pensavamo, peccato che è una di quelle chiuse con cancello e lucchetto. Finalmente ecco il Cedrino, un lago, altro che attraversabile, manco a nuoto vista l’acquaccia putrida venuta direttamente dallo scolo del depuratore. Omene e Orudè ridono davanti a noi che dobbiamo tornare indietro e bon, manco per Istoroddai possiamo andare. Questo ce lo comunicano i due vecchiotti che incrociamo al ritorno e ci dicono che l’acqua è alta e non si passa. Tralasciamo una grotta che nereggia alle pendici del Corallinu, località Perdas de fogu, perché fa un caldo tremendo e Sergio dice che prima arriviamo alla macchina prima ci tuffiamo al mare. Come dargli torto? Senza indugio alcuno scendiamo a s’abba meica laddove l’acqua cristallina e gelida smorza ogni nostro ulteriore ardore esplorativo.

17.5.2022. Nurra Pancratium illyricum
Gli ultimi due giorni abbiamo battuto la fiacca, animo, alzarsi presto, imbraco, corde, il Corrasi ci aspetta. Fatto bene che la mattina fa freschetto per cui arriviamo a Su Pradu senza troppo sudare e qua, col sole che illumina impietoso il bianco calcare, andiamo al pozzetto da scendere e verificare. Da prassi, nonostante l’aspetto, dopo pochi metri è assolutamente tappato. Pare brutto scendere senza fare un po’ di battuta su sto calcare da sogno. La ricerca premia Sergio che, vedendo una fessura che non gli daresti un euro, butta un sasso e sente che scende, scende, scende. Arrivo di gran carriera e, a naso, mi sembra di passarci. Infatti. Tre massoni occludono lo stretto ingresso, entro a passaggio egizio ma sotto il pozzo è transitabile, con le pareti piene di speleomantes supramontani. La corda non basta, vorrei staccarmi e arrampicare fino alla base dove, da una parte, il pozzo continua. Butto il sasso che scende e rotola almeno una trentina di metri, se basta. “Sali che ci torniamo, non scendere in libera” mi dice Sergio e, visto che dobbiamo davvero tornarci con i rinforzi, salgo. Siamo felicissimi. “Come lo chiami?” gli chiedo “Nurra del Pancratium illyricum” risponde guardando il fiore che fa bella mostra di se all’ingresso. Ottimo, daje daje ha anche imparato i nomi dei fiori. Torniamo a S’Eranile euforici e, manco entrati, strilliamo a Pietro “ci presti un piede di porco che abbiamo trovato una Nurra?”. Contenti pure Pietro e Maria ai quali raccontiamo il cosa e il come, soprattutto come. Qualcosa abbiamo, corde, piantaspit, armi ma poco e niente per scavare. Occorre ingaggiare gli Olianesi, il pozzo sta nel loro territorio, telefoniamo a Maurizio che è ben contento di venire a stappare ed esplorare la Nurra. Sergio nel frattempo si riposa in previsione e me ne vado a Ziu Martine a fare un lungo bagno fino ai grottoni, tanto per stare in tema.paradisola.

18.5.2022. Nuraghe Serbissi
Usuale appuntamento con Giammichele che ci vuole portare ai tacchi di Osini. Mai stata in vita mia, ma scoprirò più tardi che, invece, alla grotta Su Marmuri, proprio li, ci sono stata una trentina di anni fa con Francesco, quando ancora non era turistica. Oggi invece andremo a Nuraghe Serbissi. Il motivo è che è un meraviglioso nuraghe calcareo, l’unico con la grotta naturale sotto, parte integrante del nuraghe stesso. La strada, lunghissima, infinita, è tutta curve e visto che per non perdere tempo consulto l’enciclopedia della flora sarda, mi viene in mal di mare che levati. A salvarmi è la polizia che ferma Sergio e posso scendere e respirare, tra l’altro la macchina ha i finestrini inferiori che si aprono a fessura e fa un caldo boia. Il poliziotto, che ringrazio di tutto cuore, mi rassicura che d’ora in poi le curve saranno assai più numerose e la strada divelta. Grazie tante. Spero ardentemente in una sosta al bar, oltrepassati Gairo nuovo e quello vecchio senza fermate, eccoci a Osini al bar della Grotta che come nome è invitante. Spero che qua sia finito il giro estenuante, invece no, su per i tacchi e poi per una sterrata, morale, in tre ore dalla partenza ecco la biglietteria per il nuraghe. In un posto dove non c’è niente nel raggio di kilometri. Il nuraghe e la grotta mi consolano di molto, soprattutto la grotta dove con Sergio tentiamo la prosecuzione in uno stretto cunicolo soffiante aria fredda. Peccato che abbiamo solo una lucetta e non proseguiamo oltre, avremmo volentieri lasciato Giammichele al suo destino e scoperto da dove viene quest’aria visto che il rilievo non lo dice. Personalmente, dopo tre ore di macchina avrei girato per tutto il tacco giurassico, invece Giammichele ci porta alla fontana de Sa Brecca dove ci sono i tavolini e possiamo mangiare le solite cose nostre. Li abbandono quasi subito per cercare flora acquatica, almeno quella dico io. Ma già mi aspettano in macchina per le altre tre ore di ritorno. “Senti Giammichè, bello il nuraghe, bella la grotta, belli i posti ma la prossima volta portali qua vicino”. A dire il vero qua c’è un mondo da esplorare e abbiamo ancora la nostra nurra da scavare e scendere, famose a capì.

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