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13.5.2019. Fuili - Irveri
. Piove a Calagonone, ma non quella pioggia a goccioloni che ti prende sempre all’uscita della palestra e arrivi zuppa “di sudore?” s’informa Sergio “no, proprio di acqua” . Piove fitto fitto a tratti, fortunatamente e, stranamente, senza vento. Bon, allora me ne vado a Cala Fuili a piedi, 12 km tra andare e tornare, un giro del lago ma estremamente più bello. Per strada non c’è nessuno tranne due turisti francesi che hanno scambiato Ziu Martine per Cala Fuili. Parlevù franses? Mi chiedono “no, i speak english ma malamente assai”. In ogni caso insegno loro come arrivare a Cala Luna e se si son persi per dirupi colpa mia, ma erano seriamente intenzionati ad andarci. Invece arrivo a Cala Fuili scoprendo che il sentiero “maipiùquestoschifodisardegna” è tutto bello sistemato anche troppo. Alla Cala non piove e quasi quasi vorrei arrivare anche al Bue Marino, ma sul calcare bagnato si scivola che è una bellezza, il Nozz mi aspetta per pranzo e ricomincia a piovere. Per farla breve a pranzo sto a casa a far compagnia a Sergio lavorando al pc. Nel mio ho rotto lo schermo e vedo solo a metà, ma il libro sul “cervello non ha età” insegna a industriarsi. Infatti lavoro lo stesso per allenare i neuroni. Però stare troppo al pc con tanta Sardegna fuori mi pare uno spreco “ti va di fare due passi?” chiedo al Nozz. Stranamente acconsente e ce ne andiamo nella panoramica dell’Irveri verso Cartoe. Uno spettacolo vedere tutto il Supramonte marino dove, finalmente, la natura impera. E poi qua è uno sballo geologico tra lava e calcare, talmente bello che a momenti arriviamo a Cartoe nonostante la gamba zoppicante del Nozz e il buio che avanza. La Sardegna è il posto più bello del mondo e bon. E visto che abbiamo camminato tanto possiamo mangiarci ravioli e seadas senza troppi sensi di colpa. Perché, li avevamo? Mai in vita nostra.

14.5.2019 Malopedes-Bue Marino
Minaccia pioggia per cui le nostre velleità sono molto limitate, trovare la grotta di Malopedes che sta nei pressi del curvone sopra Calagonone. A detta di Giammichele sta a due passi, bella grottina archeologica, adatta a noi direi. Sergio ha il punto per cui ci avviamo verso gli aguzzi calcari, seguendo ometti che sono dovunque. Arrivati al punto la grotta non c’è ed inizia il calvario della ricerca tra lame, sprofondi, ginepri, lentischi, su e giù, destra e sinistra, nudda. Bon, torniamo alla macchina a mangiare, che è pure ora. Ne avremmo ancora tante da trovare nei dintorni, ma Sergio per oggi ha superato il limite gamba-ginocchio e torna per lavorare al pc. Io invece prendo baracca e burattini per la pioggia e me ne vado verso Fuili, con il recondito progetto di arrivare al bue marino. Verso Fuili mi si affianca un vecchiotto “vieni a ziu martine?” “chesseimatto, al mare, no, vado al bue marino” “troppo tardi ci vogliono due ore”. Veramente lo ricordavo più vicino ma pur di levarmi di torno sto vecchiotto, accelero l’andatura e questo “ti dispiace se vengo pure io?” “con quelle scarpe?” gli rispondo a brutto muso. Invece viene con quelle scarpe e manco inciampa, anzi mi fa davvero compagnia che a momenti sbagliavo pure bivio. Già che ci sono lo sfrutto per far foto. Arriviamo alla grotta molto velocemente, ovviamente è chiusa e mi limito a fotografare le concrezioni d’ingresso mentre il vecchiotto vorrebbe pure provarci. Ma de che. Che ho il Nozzolone mio, anzi già che ci sono gli telefono che sto qua. Il vecchiotto si rassegna altrettanto velocemente e torniamo indietro. Mi lascia a Fuili dove va a caccia di qualche altra turista disponibile più di me. Lo ritrovo lungo la strada per Gonone ma subito devia per Ziu Martine. “Non hai trovato niente?” gli chiedo mentre lui nega decisamente di essere a caccia. Certo oggi gli ha detto male ma in compenso s’è fatto una bella passeggiata e io ho imparato il come e perché a Gonone c’è un teatro greco pieno di margherite gialle, fatto di sacche di cemento con la carta addosso che pare na monnezza da vicino, ma da lontano fa il suo bell’effetto, come me in sostanza. Pagato dall’Europa è.

15.5.2019 Grutta Sos Molentes
Dalla prima volta che siamo venuti in Sardegna ho sempre avuto voglia di entrare nella Grutta Sos Molentes, non l’abbiamo mai fatto perché sta su uno strapiombo e, del resto della grotta non sapevamo nudda. Però grazie a Giammichele e al catasto sardo (meglio del nostro sicuramente) appuriamo che non è solo un riparo sotto roccia ma grotta-grotta e che, nonostante lo strapiombo, ci si arriva. Bon, oggi piove e c’andiamo. Che andare per strapiombi col calcare bagnato è cosa da dementi. Per non parlare del lungo cammino sotto l’acqua per arrivarci sopra. Niente paura, mantelle, ombrelli, giacche a vento ne abbiamo, compresa una certa dose di demenza. Arrivati sopra lo strapiombo Sergio esclama “qua non scendo manco morto”. Ma trovo una inesistente traccia che pare superare lo strapiombo, la seguiamo, ci arrampichiamo per calcari bagnati e, finalmente, eccoci davanti al grande portale. L’ingresso è super accessoriato: recinto di pecore, pali con chiodi-attaccapanni, chiudenda e dentro il caprile per gli agnelli, di inestimabile fattura. Infiliamo le tute che la grotta è nera putrida da millenni di fumi, si scivola che è una bellezza, si cammina su strati di petole secche e c’è pura una mummia di prolagus sardous (pare proprio). Ma, saliti tre scalini di concrezioni, si apre il mondo della grotta ipogenica. Tra il nero della grotta spiccano colonne, concrezioni eccentriche, una vaschetta d’acqua e due dipinti paleolitici (un cervo e uno sessuale). C’è da trovare la prosecuzione e, come tutte le grotte ipogeniche, è un dedalo di giri a vuoto, il rilievo non è di alcun aiuto. Però una porticina conduce a una saletta dalla quale, un stretto passaggio tra due colonne, porta con scivolo al salone sottostante. E qua Sergio, dopo aver profferito la fatidica frase “non ci passo” vinto dalla curiosità, mette una corda con cappi e tenta il tutto e per tutto. “Senti, passo prima io che semmai ti aiuto” gli consiglio. Più che altro se passa di là e poi ci resta? Magari con idonea spinta lo butto tra colonne e bon. Detto fatto siamo nella sala grande e c’infiliamo dovunque tranne salire un viscidume verticale che tanto lì toppa (da rilievo). Io invece vado nella saletta che dice Giammichele, “non si vede, ma se la trovi è l’unica bianca, un gioiellino”. L’ho vista, piena di eccentriche, non tanto bianca a dire il vero, con una ragnatela bianchissima e un ragno (penso) color giallo oro luminescente. Tutta la grotta è calda da morire, non c’è aria e pare di stare in una bolla, come evidentemente è, bolla ipogenica. Per cui ci fa piacere uscire al freddo gelido di un maggio anomalo. Ci siamo ridotti due schifezze ma ne valeva proprio la pena.

16.5.2019 S’Urbale- Gavoi-Sa Itria
“Ajò che andiamo a cercare nuragici” ci sprona Giammichele e noi, diligentemente, seguiamo le sue indicazioni. Stavolta andiamo a Teti. “Ancora???” “ci manca il villaggio di S’Urbale, non lo volete vedere?” “EIAAAAAAAAAAAA!!!”. I giri di Giammichele sono tutti una scoperta. Il percorso è di una bellezza fuori dell’ordinario, verdissimo, boscoso, pochissimo abitato, con scorci incredibili sul lago di Gusana e certi fiori rossi che spuntato bordo strada. La qual cosa c’incuriosisce non poco, ma quando Sergio decide di fermarsi… tò i fiori non ci sono più, scomparsi nel nudda. Poco male, ci ripromettiamo di vederli al ritorno, intanto arriviamo a S’Urbale che sta sopra Teti. Un insediamento nuragico nel granito pieno di capanne, circondato da un bosco celtico pieno di orchidee. “Dai che chiude il museo” mi sprona Sergio, incuriosito quanto me di sapere tutteccose di questi nuragici. Arrivati al museo, con cancello aperto, troviamo il cartello “per il museo telefonare a questo numero”. Due volte abbiamo chiamato, nessuna risposta. Non mi resta che fotografare il murales che riassume la vita nuragica e bon, stavolta andiamo a mangiare nella chiesetta rupestre di San Pietro a Ovodda. Ovviamente invece di mangiare, butto giù due bocconi di pane carasau, salsiccia e formaggio sardo e me ne vado nei dintorni a fotografare ogniccccosa. Che il Nozzolone mi avrebbe lasciata lì per sempre non ci fosse stato Giammichele a perorare la causa mia, più che altro perché gli serve consulenza botanica. Via di corsa alla Valle di Oratu per cercare la Pedra fitta lungo l’omonimo torrente nel territorio di Gavoi. Dopo gran girovagare la troviamo, il cartello indicatore del bivio è stato divelto da chi? Suppongo dal proprietario del terreno che, giunto di gran carriera con un macinino scassato, non solo non si ferma alla nostra richiesta di aiuto ma vorrebbe certamente travolgerci. Tant’è che non riusciamo a trovare né la tomba dei giganti né il dolmen successivi certamente travolti anche loro dalla furia devastatrice di costui. Che mal sopporta turisti curiosi. Torniamo? Macchè, Giammichele, in piena foga archeologica, ci porta al Santuario di Nostra Sennora di Sa Itria. Ecchè convertire ci vuoi? Eh no! Dentro il recinto della chiesa ci sono: un menhir, un circolo di pietre, due montarozzi di granito bucati e scavati ad arte, il tutto magistralmente congiunto con la moderna chiesetta e accluse cumbessias, che circondano la chiesa come il cromlech. Un posto magico che più magico non si può, talmente magico d’aver fatto sparire i famosi fiori rossi lungo la strada. Ma non abbastanza da togliermi il sapere scientifico, quello volgare trifoglio rosso era!! Eia.

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