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1.5.2018. Belvì
In tutta la Sardegna piove, e non poco, tanto assai e sembra che voglia diluviare fino a sabato. Però, essendo primo maggio, la biblioteca è chiusa ma i musei no; avendo già visto i principali, il Nozz propone il museo di scienze naturali di Belvì. Eccome se va bene! Ma prima telefoniamo, non si sa mai. “Il museo, aperto è oggi?” chiedo “”Credo di si” è la risposta “allora veniamo!”. Certo da Dorgali, sotto la pioggia battente, è viaggio che levati, tenuto conto che non posso nemmeno fare soste per fotografare la miriade di fiori lungo il percorso, troppa acqua. Arriviamo finalmente a Belvì alle 12, sperando che il museo non chiuda proprio a quell’ora, a proposito, c’è il cartello ben evidente sul muro sotto una chiesa campestre, ma fisicamente dove sta? Poco male, telefono. “La vede l’edera?” “no, non c’è nessuna edera” però ecco c’è il bar Edera “ecco rivolgetevi al bar”. Entriamo e assieme al caffè chiediamo del museo “c’è la guida! È seduta laggiù”. Arriva uno che ci sommerge di chiacchiere a vuoto tra le quali riusciamo a capire che no, il museo non è visitabile, lo stanno trasferendo in altra struttura nuova “volete vedere animali impagliati accatastati?” “no, veramente flora, minerali, fossili” “Flora no, ma minerali e fossili tantissimi, 4 pazzi dell’epoca, tipo speleologi, hanno fatto sto museo” “saremmo felici di vedere fossili e minerali” “non volete vedere le formazioni calcaree giurassiche dei tacchi?” “si anche quelle”. Prende un pezzo di carta e ci disegna come arrivarci “la carta è troppo piccola” dice, perché era partito dalla Sardegna tutta. Allora il Nozz prende la cartina in macchina per farsi indicare il percorso, anche se tento di riportarlo alla base, vedere il museo. Il tizio fa mille telefonate per cercare chi ha le chiavi ma nessuno risponde “questi fascisti.. voi siete fascisti?” “no, penso proprio di no”. Questo non riusciamo più a scollarcelo di torno, avendo capito che vedere il museo è missione impossibile e forse ci resta che seguire le indicazioni per le formazioni calcaree, peraltro segnate anche in cartina. Il padrone del bar fa una filippica sulla gente rassegnata all’andazzo generale disfattista ma uno che può fare? Ecco, come vedere un museo indicato da internet aperto nel polo museale sardo? Dovremmo armare un casino immane a Belvì?. Più che rassegnati siamo abituati ai musei chiusi dichiarati aperti. Prendiamo quindi la strada per Aritzo, Cantoniera Sa Casa, Cantiera Ortuabis e giriamo verso Fontana Raminosa. Qua c’è un’area naturalistica che indica le formazioni calcaree, peccato che siano distanti assai e che stia piovendo a dirotto. Però c’è anche l’indicazione per la miniera di Fontana Raminosa, e questa pure ci interessa. Tutto chiuso sbarrato da secoli e secoli pare. Raccolgo un sasso per studiarmelo a casa e bon, prendiamo la via del ritorno per Gadoni, ma stavolta faccio parecchie soste per fotografare l’Orchi provincialis, visto che Giammichele dice non essere lei, troppo bianca, poco gialla. Sarà la variabile sarda, dico io.

2.5.2018. Sa Oche
Ancora piove, non ha smesso mai da ieri, buono per riposarsi e acculturarsi. Per cui andiamo al museo archeologico di Nuoro, aperto. Lungo il tragitto ammiriamo un paesaggio verde e nebbioso simil-Galles, con l’acqua che sgorga da ogni dove, scorre per prati limacciosa e forma laghi anche sulla strada. Il museo è piccolo e più che altro contiene materiale delle grotte di Oliena, che a noi interessa alquanto, anche se ci soffermiamo a studiare la parte geo-paleontologica ed ammirare i bronzetti. Bon, visto tutto è ancora presto e già che siamo nei pressi, andiamo a vedere se Sa Oche butta acqua con la famosa voce. Bellissimo scorgere il Supramonte tra le nuvole ma dalle rocce acqua non ne esce, tutta sotto entra. Al rifugio chiediamo se sia finalmente possibile entrare a Su Bentu. “Certo, è stato fatto il regolamento che prevede: il pagamento di 15 euro a persona, essere almeno 5 persone, fare parte di un gruppo speleologico, avere l’assicurazione e dare i documenti qualche giorno prima, in ogni caso in questo periodo non si può andare che si allaga”. Noi siamo solo due ma per il resto abbiamo tutto anche se pagare 30 euro per fare una grotta, che tra l’altro abbiamo fatto in tutte le salse, ci sembra eccessivo, a fronte di che poi? Come i tornelli a Venezia. Fa niente, e Sa Oche è visitabile? “oggi è gratis anche perché non si può entrare, c’è l’acqua, ma potete andare all’ingresso”. Grazie tante, noi che l’abbiamo fatta con la muta pensiamo a quelli che pagano per farsi i primi metri. Andiamo però a vedere l’ingresso e vediamo l’acqua uscire da due troppo pieni sulla destra prima della grotta. Prima che si innesti Sa Oche questi troppo pieni devono riempirsi ancora di più, infatti nella grotta c’è subito il lago ma non sembra riempirsi né l’acqua scorrere, la voce nemmeno c’è. Peccato. In ogni caso Sa Oche con l’acqua smeraldina è sempre una bellezza. Torniamo sui nostri passi e quella del rifugio ci invita ad andarcene prima che Sa Oche butti e riempia la strada creando torrenti non più transitabili. “Ma la voce si sente quando l’acqua inizia a uscire?” chiedo “Sa Oche non vuol dire la voce”, ci spiega, sfatando un mito e un detto molto suggestivi. Il Nozz contesta tutto, che Su Bentu (che lei chiama Su Ventu) si allaghi, visto che abbiamo fatto il by pass del primo vento, che Sa Oche non significhi la voce, che la strada non sia più transitabile e che poi si debba pagare anche…. E brontola per tutto il tempo, tempo che non smette di brontolare di suo, non ci resta che la biblioteca di Dorgali!.

3.5.2018. Sa Barva
È nuvoloso ma non piove, anche se nel pomeriggio danno allerta meteo arancione. Pietro ci sconsiglia di andare in grotta “il calcare è molto scivoloso! E poi il Flumineddu è in piena, a Sa Barva arriva al ponte” mentre Maria ci riempie di piselli appena raccolti. Ovviamente, dobbiamo subito vedere Sa Barva col Flumineddu in piena!. E visto che ancora non piove, sai che ti dico? Da Sa Barva torno a S’Eranile a piedi, fotografando ogni singolo fiore, si capisce. A Sa Barva vorremmo vedere, una volta per tutte, la domus de janas che s’intravede dalla strada ma, ops, sta dall’altra parte del Flumineddu e la strada è sott’acqua. Sa Barva, invece, è transitabilissima e l’acqua, benchè impetuosa, non desta preoccupazioni. Scendiamo al torrente e vedo la flora torrentizia che mi sorride. “Ciao ciao, resto qua!, se inizia a piovere ti chiamo, torno a piedi”. Il Nozz tutto contento va a casa a preparare i piselli “Vedi che la strada è lunga”. Meglio, penso, almeno mi scaldo e mi alleno per il fatidico Monte Amaro. Con tutta calma risalgo un po’ del Flumineddu e poi pian pianino torno verso casa raccogliendo semi e bacche di ogni essenza: papaver somniferum, papaver setigerum, calicotome villosa, vicia cracca, nella fertilissima e spettacolare valle di Oddoene. Chissà a casa mia come verranno ste piante sarde. Al casottello del caffè, tappa obbligata “aiò, quanto costa un caffè?” “80 cent” “a buon mercato è!, costa meno che a Dorgali” “onesti siamo” “vero è” e così faccio un po’ di conversazione con sto qua che mi pare solo abbandonato e solo io e il Nozz ci fermiamo qua a sollazzarci dopo le escursioni. Approposito, fammi telefonare che mi pare che inizi a piovere “ciao, sto al casottello” “ti manca ancora tutto” “si ma torno a piedi, semmai mi metto la mantella, l’ombrello ce l’ho, tu che fai?” “cucino i piselli”. E via, metto la mantella e proseguo imperterrita. Ogni tanto qualche macchina si ferma per darmi un passaggio “no, grazie mille, torno a piedi” e come conferma della sanità mentale faccio vedere la digitale, è che devo fotografare fiori, mica che son matta. Poi si ferma una marocchina e mi racconta di tutto e di più, da lei il passaggio l’avrei preso volentieri anche solo per sapere di lei e come vive qua, fa la badante dice e mi sembra contenta. Però mi piace camminare ancora, la saluto e riparto. Ora inizia proprio a piovere per bene, apro l’ombrellone e via, pensando ai piselli che mi aspettano. Alle 14,10 sto a S’Eranile, ho impiegato circa 3 ore a tornare (circa 12 km) e posso strafogarmi di piselli assieme al Nozz che già l’ha mangiati, ma per farmi compagnia ce li finiamo tutti. E per dessert, ricotta di Pietro con la marmellata di cotogne di Maria. Vita da non morir mai.

4.5.2018. Corrasi
Anche oggi dovrebbe piovere ma visto che ancora non lo fa, sai che facciamo? Andiamo sul Corrasi. Resto basita dalla proposta del Nozz, nientemeno! Peccato che sia immerso nelle nuvole, “perché non andiamo a Sas Traes da Lanaitto invece?” propongo, quando meno ci si vede. Arrivati a Lanaitto vediamo un fiume sommergere la vegetazione “Sa Oche è in pienaaaaaaaaaaaa!!!!!!!!” e vai! Arriviamo al guado, assolutamente intransitabile, gli speleo francesi hanno messo una corda tra gli alberi per passarlo a piedi. Allora andiamo all’altro guado, quello vicino al rifugio, peggio mi sento! Un torrente impetuoso che anche a piedi ti trascina via, davanti al guado il fuoristrada dei gestori del rifugio, Sa Oche, Su Ventu e Carros che guardano l’impossibilità di arrivare dall’altra parte. Ovviamente la tizia ci dice “vedete? Avevo ragione a dire di andarvene prima che arrivi la piena, e che Sa Oche non è la voce ma la foce!”. Il Nozz non profferisce verbo ma insiste nel dire che, in ogni caso, la piena non arriva a Su Bentu ( o su Ventu) e che nel secondo vento c’è il by pass. “”Ma gli speleo di Oliena sono rimasti dentro 4 giorni causa piena” insiste lei, e visto che siamo in tema di polemiche, chiedo “a fronte di che chiedete 15 euro a testa? Per il Comune?” “no è previsto dal bando di appalto, solo il 15% va al Comune il resto va a noi per la pulizia, salvaguardia, ecc., del resto gli speleo stranieri non hanno niente da eccepire, pagano”. Non aggiungo altro, se è per pagare posti di lavoro a me va anche bene, ma mi pare troppo 15 euro a testa, però anche andare a piedi a Goloritzè si paga 6 euro, infatti noi non andiamo né a Su Bentu né tantomeno a Goloritzè e per fortuna abbiamo visto entrambi senza gabella e senza nessuno. La tizia ci insegna, gratis, il sentiero per vedere Sa Oche dall’alto, mentre lei aspetta turisti per Carros. Bon, andiamo a vedere. Mi sporgo da una roccia che se casco non trovano nianca i ossi e vedo Sa Oche che butta acqua, quasi piena fino in cima. Bello!!!! “Vuoi vedere pure tu? Ti devi reggere al ginepro e sporgere” invito il Nozz che non si sporge tanto e non vede niente. Meglio che se si fosse rotto il ginepro addio fighi. Propongo, visto che ci sono preclusi tutti i sentieri di Lanaitto, di salire verso il Corrasi da quello prima del guado. “Già sono stanco, non vedi come sudo?” dice il Nozz. “Allora andiamo sul Corrasi da Oliena, sta dentro le nuvole ma almeno farà più freddo”. Stavolta il Nozz ci sta e andiamo. Fortunatamente non piove ancora e c’incamminiamo balzandosi verso la sella e poi nel sentiero a sinistra fino a Sas Palumbas. Io non sto nella pelle, è pieno di Orchis inchnusae, Ophrys lutea sub galilaea, Ephedra nebrodensis, Prunus prostrato fioriti, va da se che devo fotografare tutto e più che camminare sto ginocchioni. Il panorama è da mozzafiato anche con le nuvole che circondano le cime. A Sas Palumbas mangiamo ascoltando l’acqua che scroscia dentro la grotta. “Abbiamo visto inghiottitoio e uscita, peccato solo dall’esterno, pagherei non so che cosa per vedere l’acqua dentro la grotta, 15 euro no, troppo”. Fortuna che, in ogni caso, le abbiamo già fatte, più che altro il rimpianto è relativo e per essere felici tocca contentarsi. Così mi contento anche di tornare indietro invece di girare per tutto il Corrasi alla ricerca di endemiche e mufloni come vorrei. Il Nozz è stanco e lo vorrei tener in forma per i giorni a venire che dobbiamo camminare, vero che danno ancora pioggia, ma oggi siamo stati graziati, ha iniziato appena messo il sedere in macchina.

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