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29.4.2017 Alla ricerca di Neulaccoro.
“Dai che andiamo alla Nurra Neulaccoro” ci propone Giammichele “Ci portiamo il materiale?” “no! Prima la troviamo, poi ci potete tornare”. E meno male. Lasciamo la macchina a Genna Silana e poi, dritto per dritto, saliamo per Serra di Silana. Stavolta Giammichele non si ferma per fumare o fotografare fiori, macchè, e io che speravo di andare lenta lenta. Arrivati alla Serra si, ci fermiamo perché il panorama è strepitoso e noi, nonostante 30 e passa anni di Supramonte, niente sappiamo riconoscere, al limite il Corrasi e Campu Donianigoro, e il resto? Il resto ce lo spiega Giammichele, dal Gennargentu a Punta Solitta, Monte Novo San Giovanni, Monte Fumau, Sa Pruna, in mezzo Nuraghe Mereu e sotto Codula Orbisi. Va beh, ma Nurra Neulaccoro? “qua sotto sta”. Ci sparpagliamo a raggiera, in tre un tridente più che altro, ma solo Giammichele sa dove sta, noi più che altro guardiamo sotto ogni sasso. “No! grande è!!”. Si è grande ma non la troviamo. Per consolazione fotografo le geniste tuluensis, cadasonae e corsica. Sono loro? Ben, intanto le fotografo e poi si vedrà. Rimaniamo sparpagliati così ritorniamo sulla lunga serra ognuno su un pizzo diverso. Fortuna che i cell funzionano così possiamo riunirci per tornare alla va te ciava verso Genna Silana. Mi scelgo il percorso a scale, quelle di Billia Mereu, arrampiconi praticamente. Al boschetto delle orchidee non ne troviamo ma parecchie Peonie fiorite. Splendide. Per la cronaca Nurra Neulaccoro è fonda 180 m per 600 m di sviluppo. Si..aspettace..

30.4.2017 Trans-Corrasi
L’escursione di oggi è organizzata da Maurizio che vuole portarci a un sentiero appena fatto che da Maccione porta a Su Cologone. Niente meno. Un trans-Corrasi che passa sotto punta Cusidore. Subito il Nozz e Giammichele mettono le mani avanti, in questo caso le gambe. Uno ha la tendinite e l’altro l’anca dolorante. “Embè” fa Maurizio “andiamo con tre macchine, una la portiamo a Maccione, l’altra sotto il sentiero del Sasso e l’ultima a Su Cologone”. Dopo estenuanti trattative si decide di portarne due sotto il sentiero del Sasso e basta. Peccato per Su Cologone ma ci vogliono dalle 6 alle 8 ore. E invece c’è la tappa per mangiare a Grutta s’Abba Meica, cucinare la carne e tutteccose. Io devo portare insalata, miele, pane carasau e amaretti. Oltre a noi ci sono Pietro e Jana, i figli di Maurizio, e due suoi amici, Tore e Fiore. Tutti carichi, bambini compresi, c’incamminiamo per il sentiero 401 che diventa 406, prosegue con diversi sali scendi e si snoda quasi sempre dento il bosco di lecci con ampi panorami su Oliena, per la gioia di Giammichele. Pietro e Jana corrono come mufloncini per il sentiero e per fortuna c’è Giammichele che si deve fermare spesso e ci dà la scusa per riposare. Ad un immenso grottone, S’Abba Meica, ci fermiamo per il pranzo. E chi lo sapeva che grutta s’Abba Meica era una grotta di sta portata? Ho lasciato, mannaggia a me, la frontale in macchina e solo con quella del Nozz e con una lucetta fioca di Tore, andiamo a visitarla. “Occhio a non cascare nel pozzo da 50” ci avverte Maurizio. Più che altro occhio a Pietro che viene con noi ma ha anche paura della grotta, degli spiriti nuragici e compagnia bella. E fa bene, non si vede un piffero, ma ugualmente andiamo a vedere dove c’è l’acqua meica, una pozza che riflette immense colonne. Tentiamo di fare qualche foto senza troppi risultati e poi tutti a far fuoco e cucinare. Il pranzo è un classico sardo. Dagli zaini esce di tutto e di più, salsicce, carne, panineddi conditi, formaggio, vino in abbondanza e pure caffè da fare con la moka. Il mio compito misero è condire le foglie di lattuga col miele. Intanto devo anche intrattenere Pietro che salta come un capretto da un sasso a un altro, e come? Facendogli cercare punte di freccia e altre amenità. Nudda. Finalmente si decide di metter via baracca e burattini e di proseguire il percorso, stavolta molto più bello ancorchè più ostico, sotto punta Cusidore. I ragazzi corrono che è una bellezza e gli altri si fermano ogni secondo. Quando c’è il bivio, prendiamo sulla sinistra e scendiamo fino al sentiero del Sasso dove ci sono le due macchine. A dirla così pare breve, ma non tien conto delle varie soste di Maurizio che ad ogni sardo che incontra intrattiene salotto come avesse fatto fino a ieri l’eremita bisognoso di contatti sociali. E’ nel retaggio arcaico del pastore sardo del Supramonte che vive isolato da tutto e da tutti e se incontra qualcuno fa festa che più festa non si può. Alle macchine c’è del bello e del buono per riuscire a tornare a Dorgali, a detta di Maurizio avremmo dovuto fare altre enne soste da enne amici fino a Maccione. “Che vuoi tornare a casa subito?” “ajò ma sono le 6!!!”. E devo fare la lavatrice che le giacche a vento si sono sporcate di miele e puzzano di fumo che è una bellezza. Domani però mare, vero? Speriamo…

1.5.2017 Sant’Efisio di Orune
Ma quale mare oggi, andiamo a Sant’Efisio di Orune con Giammichele e Rosaria. Non al Sant’Efisio di Cagliari, ecchè sei andata in Sardegna e non l’hai mai visto? Con i 5000 costumi sardi di tutte le località, i cavalli, i carri con i buoi e il santo guerriero? No! Il Nozz odia la confusione e mai e poi mai acconsentirà a vedere sta magnificenza. Solo Maria ci vuole andare, e Pietro subito a proporre al Nozz “mandacele e noi andiamo a donne e beviamo cannonau”. Si si, tanto le belle donne sarde stanno tutte a Cagliari col costume. Non il bikini, quello sardo. Bon. Invece Giammichele e Rosaria ci accompagnano, minuti di roncola, a vedere il nuraghe Gramalla, tanto per cominciare. Perché la roncola? Per entrare nel nuraghe che è un protonuraghe con una parete retta, costruito sopra massi di granito e tutto intorno rovi, sugheri, recinti, macchina sequestrata, pecore, cani ringhiosi. Entriamo per vedere una strana condotta, il resto crollato. Bello! Fortuna che il cane non c’ha assaltato e che ho trovato interessante flora granitica. Adesso ci spostiamo nella località Sant’Efisio dove c’è un insediamento romano, con tanto di canalette dappertutto, che i romani avevano sta mania dell’acqua corrente, più in là altra casa-villa-bottega-boh, e poi in fondo il villaggio nuragico pieno di capanne ben messe, piccole, grandi, medie e sopra il nuraghe. Saliamo, in cima c’è una scala ripidissima che porta a un vano, ma non si sa dove stava l’ingresso. E boh, allora andiamo alla fonte sacra, piena di rovi, ma a bastonate riusciamo a vedere la polla, molto fonda e il muro intorno. E’ ora di mangiare! E piove!. Propongo di andare a Orune per sentire come parlano e se è vero che hanno la erre come me. E no! Dice Giammichele, non si può andare al bar, prendersi una birra e mangiare i nostri panini, è assai disdicevole. “Macchè!” rispondiamo io e Rosaria, che a dire il vero avremmo gradito una birra fresca. Però il Nozz do man forte a Giammichele e ci fermiamo a una fonte non sacra a mangiare al freddo e al gelo, vicino a cani ringhianti. Sopra c’è una strana pietra eretta a mò di testa d’aquila col cappello, che si erge a fianco di un menhir e di un nuraghe. Vado a vedere, ma il cane ringhiante mi corre subito incontro. Scappo a gambe levate nonostante i consigli del Nozz “non scappare!!” ah no? Mi faccio sbranare subito subito? Torniamo a Dorgali sotto la pioggia laddove Maria ci regala le fave dell’orto “”ho sentito che i romani oggi mangiano fave col pecorino”. Eia! E fanno la gita fuori porta, noi come fuori porta stiamo in Sardegna. Molto fuori..

2.5.2017 Verso Nuraghe Mereu.
“Dove andate oggi?” ci chiede Pietro “A nuraghe Mereu” “Da Orgosolo?” “no,da Sedd’Arbacas” e lui ride. E sappiamo perché. Prima di tutto non abbiamo mai fatto questo sentiero, sentiero per modo di dire, e poi la traccia che ha scaricato il Nozz è come un oleodotto, passa dritta per dritta incurante di salti, scapicolli, scale alla Billia Mereu. Ci sono anche gli ometti, come no, ma il Nozz segue la traccia. Che riporta ogni volta agli ometti, nel tracciato, non facile, ma insomma potabile. Scendiamo tra maiali cinghialati, grottoni, lecci giganteschi fin quasi al Flumineddu, dopo di che la traccia dice “giù di qua!” ossia nel salto che ti porta al torrente. Appurato che proprio nel salto non è il caso, seguiamo gli ometti che portano, guarda caso, all’alveo del flumineddu. Un posto stupendo pieno di buche simil-orme di dinosauro. Secondo me erano proprio, ma il torrente le ha rovinate, resta solo uno strato pieno di buchi a materasso tipo quelli di Esperia. Non ci facciamo distrarre dalla bellezza del posto e saliamo per una frana argillosa, “qua” dice la traccia. E rincontriamo gli ometti che portano su per una pettata che levati. Come lo sappiamo? L’abbiamo vista dall’altra parte del torrente. Sopra molto sopra e molto distante c’è nuraghe Mereu. A questo punto facciamo un conciliabolo. Proseguiamo o no? Mi sovviene che oggi pomeriggio dovrei andare alla biblioteca di Calagonone, che devo portare il caffè a Maria e prendermi il pane carasau. Il Nozz propone di seguire il Flumineddu giù e su dentro la gola, fino a Gorropu, salti permettendo. Eia, già la cosa è interessante assai. E via, a scendere il torrente sasson sassoni fino al lago, godendoci strati, amenità geologiche, fossili. E poi su fino all’altro lago quello incassato. Visto tutto il visitabile senza bagnarci. Mangiamo vah. Torniamo in fretta e furia per andare in biblioteca, tutti contenti che abbiamo fatto un sentiero nuovo e la prossima volta andare al Nuraghe Mereu sarà come bersi un uovo fresco. Però già il Nozz trama per una ulteriore avventura “ci portiamo le corde, scendiamo il Flumineddu fino alla confluenza e saliamo da quella parte” bagnandoci. E vai!!!

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