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24 maggio 2015 Monte Sennes Mi tocca disertare l’uscita botanica a Monte Novo perché ne ho un’altra già programmata con Giammichele e Rosaria. Anche stavolta manca il Nozzolone in via di guarigione. Visto che il fuoristrada di Rosaria è ko, in mio onore decidono di portarmi il quel di Irgoli a fare il Monte Sennes, perché non l’ho mai visto e devo vedere anche i monti granitici, mica solo i calcarei. A me va bene tutto, timidamente avevo proposto di andare a grotta Orgoi, visto che fa un freddo cane, ma a quanto pare è destino che sta grotta non la debba vedere. Saliamo quindi per monte Sennes a cercare “sa conca isteddata” ossia un sasso bucato dal quale vedi il cielo e ti sembra di vedere le stelle. Il sentiero è una ripida salita attraverso un bosco di pinus nigra impiantati, poi diventa fitta macchia mediterranea fino ad arrivare ad una cresta che sembra tale e quale a quella del Circeo, solo che è di granito. Il panorama, fosse limpido, sarebbe bellissimo sul golfo di Orosei, Monte Tuttavista, Monte Albo, Bardia e compagnia bella dorgalese. Ma il tempo è brutto, freddo e minaccia pure pioggia. La cresta del monte, sempre segnalata con segnavia bianco-rossi e pezzetti di plastica, diventa sempre più impervia, tutto un passare in mezzo a macigni di granito bellissimi con le tipiche conche a domus de janas. Per me è una piacevolissima a divertente arrampicata ma i miei compagni di escursione non sono dello stesso avviso. Intanto cercano sta famosa conca isteddata e scandagliano ogni buco, poi ce l’hanno su con quello che ha creato sto sentiero (sarà uno di Oliena, penso io…) e gliene dicono peste e corna. Per fortuna ci sono io che mi sdilinquisco davanti ogni pietra isteddata e, si, ammettono, la zona effettivamente merita. Però tutto sto saliscendi senza trovare la conca, che sarebbe un gran macigno bucato, li stanca un sacco e decidono di scendere dalla cresta senza sentiero alcuno. Mihhh qua mi aspetta il solito cellymassagg alla massima potenza, penso, visto il groviglio di macchia inestricabile sottostante. Ma non faccio i conti con Giammichè il quale è mezzo cinghiale e il resto boyscout e trova il modo di non aggrovigliarci troppo fino ad arrivare, per fortuna, al reimpianto di pinus e, quindi, alla cessazione del sottobosco mediterraneo malefico. Finalmente posso dedicarmi ad un po’ di foto botaniche su fiori granitici, e ne trovo di strambi assai da coinvolgere anche l’agnostica Rosaria che rimane basita dall’esistenza di così tante essenze che mai aveva notato. Arriviamo alla macchina sani e salvi ed ora inizia la ricerca dell’acqua fresca per Giammichele che schifa la mia nuragica dicendo che quelle di Dorgali sono tutte inquinate perciò c’è st’epidemia di virus. Onde dimostrare il contrario e difendere a spada tratta quella di Pietro, scavata nella vena della tomba dei giganti, ne bevo a gran sorsi che sto benone, io, perché invece Giammichele sta peggiorando a vista d’occhio. Tant’è che alla casa di Rosaria, mangiate le vivande, si butta a letto per recuperare le forze. Non mi resta che telefonare al Nozzolone per avvertirlo che faremo tardi, non sapendo quando l’infermo tornerà sulle sue gambe. Nel frattempo Rosaria mi fa fare il giro turistico della sua piantagione di alberi di ogni tipo, dicendomi che danno un sacco da fare, non dorme qua perché ci sono i malintenzionati che la potrebbero ammazzare, essendo il paese pieno di delinquenti. Sardegna sconosciuta è. Giammichele si alza tutto infreddolito pieno di febbre ciò non toglie che non ci pensa per niente a farmi guidare e torna di gran carriera a casa. Che non so se ho rischiato di più a stargli vicino pieno di virus dorgalesi com’è o tornare a casa a velocità supersonica. Il meschino diserta la cena di Pietro che c’ha cucinato le bestie, maialetto e agnello, mentre Maria c’ha preparato la pasta fatta in casa, per non parlare di ogni ben di dio precedente e successivo che per smaltirli sono andata a salutare i miei nuovi amici botanici a su gorropu “resta con noi, hai mangiato? Vuoi un tiramisu?” ahiò!!! Un mese di camminate vanificate in una sera!!!

25 maggio 2015 Dorgalesi A quanto pare è l’ultima giornata di sole che ci è concessa e, come si dice anca par la gente che vede, tocca andare al mare, che abbiamo abbondantemente disertato. Eccoci a Cartoe, bellissima stavolta col mare calmo e un po’ di venticello. Leggo, prendo il sole e poi, presa da smania botanico-esplorativa, me ne vado in cerca del sentiero per Cala Gonone, trovando finalmente la feruledda ed altre amenità. Non posso spingermi troppo avanti che sono in costume e sandali e il Nozzolone potrebbe anche preoccuparsi. Bon, mi tocca tornare alla base e decido che devo farmi il bagno in sto mare, ora o mai più, che non nuotare in quest’acqua cristallina, ancorchè gelida siccome sifone di sa Oche, è peccato mortale. Quando mi pare che sono diventata abbastanza stoccafisso esco e vedo il Nozzolone prendere il sole tutto vestito, così evita la crema. Però il vento cresce e pare annuvolarsi e poi ho promesso a Maria che avrei vestito il costume di Dorgali e, a dire il vero, non sto nella pelle di addobbarmi a vera sarda. Torniamo ad Eranu ed inizio la trasformazione, trucco, sandali con tacco, smalto e poi arriva Rosalia con tutto l’armamentario. Prima mi fa la pettinatura sos cuccos con sa perrichedda, su pannuzzu ‘e seta e già sembro sarda. Poi mi mette sa camisa ricamata con su zippone , poi su cosso, su froccu ‘e su zippone, sa verdetta, sa zimusa e già sono tutta vestita. Non basta, ora mi mette i gioielli; sos buttones d’oro simbolo di fertilità, s’ispilla ‘e conca, gli orecchini, s’isprugandentes d’argento, aventi funzioni di stuzzicandente e porta profumo, sa zoica, la corona e ora sono una vera sarda dorgalese. A questo punto devo salire sulla bellissima cavalla e davvero vorrei cavalcare per provare l’ebbrezza delle famose cavalcate sarde. Ma forse queste le fanno gli omines. Il quale omino, essendo parecchio mannu non può essere vestito alla sarda, per cui si accontenta di una berritta e del s’imbustu per farmi da compagno nella mia trasformazione. Pietro e Maria sono felicissimi di vedermi finalmente una di loro, visto che me lo dicono sempre e lo sanno che questa è la terra dove vorrei davvero vivere. Ora devo tornare quella di prima e passo i vestiti ad una ragazza tedesca che, vestita da dorgalese, è una vera bellezza. Vestirmi mi ha fatto assimilare nel profondo le antiche tradizioni, è stato emozionante, amo davvero tanto questa terra antica.

26 maggio 2015 Sas Traes Penultima escursione in terra sarda, Pietro ci appioppa due tedeschi, padre e figlio, dicendo “questi camminano me voi, andate insieme!”. L’amo sarebbe che loro conoscono storoddai, una scala vicina all’università di Pietro che, tra l’altro, vedo sempre dalla finestra e mi fa pure gola andarci. Bon andiamo, appuntamento ore 8 a casa loro, che sarebbe la gemella della nostra, sempre nel terreno di Pietro. Arriviamo puntuali al minuto ma dico che devo comprare il pane e aspettassero. Però mi devo prendere un caffè come si deve e il Nozzolone, intimorito dalla puntualità germanica, corre come un dannato per ste stradacce e manco si mette la cinta per cui ho sto pippipipi nelle orecchie e pure il mal di mare. Però alle 8,20 eccoci ad imbarcare i tedeschi. Lasciamo la macchina verso il flumineddu e per arrivarci seguiamo un ripidissimo sentiero che Philip, il ragazzo, percorre correndo a zampettoni come un capretto. Ahjò questi ci stendono, penso. Però, cortesemente, nell’inglese maccheronico, gli diciamo che va bene così. Seh! un par de balle, penso io in italiano vero. Arrivati al fiume c’è un mare d’acqua da passare e Uli, il padre, ci fa sapere che a ottobre non c’era. La scoperta dell’America ha fatto sto qua. Però Philip, noncurante, attraversa il torrente con gli scarponi e, per non fare troppa brutta figura, lo seguo scoprendo che i miei, di goretex, tengono l’acqua benone. Uli ha le scarpe basse ma zompa da un sasso all’altro, invece il Nozz, astuto, cerca la via alternativa tra rovi e chiama il tedesco a seguirlo. Mentre gli sciagurati si irrovano per bene, io e Philip, forti dei nostri scarponi impermeabili, proseguiamo imperterriti nel torrente. Però ora si allarga un po’ e pare pure fondo. Philip mi guarda, come dire, “andiamo?” e mi pare troppa la responsabilità di trascinarlo a bagnarsi fino alle ginocchia. Aspettiamo gli irrovati, vah. Uli propone di levarci le scarpe e passare scalzi per poi rimetterle 300 metri dopo all’inizio del sentiero che sale. Ma il Nozzolone borbotta “avessi avuto i sandali tanto tanto, ma scalzo dentro l’acqua manco per sogno” che si ricorda che, avendo i piedi rovinati ed insensibili, scivola che è una bellezza e ne porta ancora i segni. Va beh, allora proponiamo loro Sas Traes, è dall’altra parte del monte ed è bello assai. Già seguirli in salita ci sfiata, ma tant’è, ci possiamo riprendere in macchina verso Lanaitho. “iu cnow lanaitho?”chiediamo “Nein” come nein, stanno sempre qua e manco lanaitho, bon allora facciamo da ciceroni. Davanti a Sucologone facciamo sapere che è la source più importante della Sardegna, ma questa notizia non desta curiosità alcuna. Va ben che si pagano due euro a vederla, ma insomma…o forse sorgente non si dice source? Allora proseguiamo verso Sas Traes descrivendo montagne e grotte, compresa Su Bentu che passa sotto il Corrasi. Non è che l’uditorio sia particolarmente interessato, ma forse siamo noi che ci spieghiamo male. Nel dubbio parcheggiamo la macchina e via, verso Doloverre. Al bivio per Bilichinzu descriviamo il cuile sotto il grottone, la grotta nera e vissuta fin dai nuragici e via discorrendo. Uli chiede se si possa vedere “nein, is nesessari de lait, ev iu de lait? Io non esco di casa se non ho le lait” rispondo guardando il micro zainetto del tedesco, che, tra l’altro, non ha manco giacca a vento e mantella e minaccia pioggia “in Sardinia never rain” risponde, sehh aspè che te becchi l’acqua, germanico che non sei altro. Ad una certa c’è un bivio non segnato, sicuramente e certamente la strada per Sas Traes prosegue dritta, perché logica vuole che se non indicano il bivio si prosegue nella retta via. Dello stesso avviso non è il GPS del Nozzonole che indica di andare a sinistra. Così ci porta tutti a irrovarci su per un sfasciume di roccia che levati, certo il GPS ti ci porta pure, ma devi tener conto che magari non c’è sentiero dal paleolitico in poi. Quando ci siamo ben stancati di fare gincane tra smilax aspera e massi, torniamo sulla retta via, abbastanza provati, devo dire. Infatti il Nozzolone, fatti pochi passi, si ferma accovacciato sul bastoncino che si vede che ne ha per poco. “Vuoi tornare?” gli chiedo “si, non gliela faccio più”. E te credo, già per cercare il sentiero stamattina ci siamo mezzi ammazzati di fatica, ora pure, e dei tedeschi neanche l’ombra, hanno visto la retta via e sono partiti in quarta. “Allora tu torna alla macchina che accompagno i tedeschi a Sas Traes e torno”. Loro praticamente ci sono arrivati, per raggiungerli non ti dico, avevo la lingua che raspava per terra. Li vedo placidamente assisi su un sasso che mi aspettano. “Cam on, ui go to Sas Traes” dico loro a brutto muso e facciamola finita. Mi seguono e stavolta do io il passo, così, facendo da lepre, mi tocca sbrigarmi che in due e due quattro arriviamo al cuile. Certo il cuile di Sas Traes, come tutti i cuili sardi del resto, è un’opera d’arte e mi va di ammirarlo bene fuori e dentro. Avessero aperto la porta, macchè, manco fosse l’arco di Brandeburgo visto e stravisto, non emettono nemmeno un ooh di meraviglia. Ahò, io lo devo fotografare ancorchè abbia già duemiliardi di foto di sto posto. “Ui arraiv, ui can eat, ev iu bread?” “ies! we have, but we only drink” mecoion, io fame ce l’ho eccome e sbocconcello un tozzo di pane in fretta e furia per non far la figura dell’italica magnona, poi mi alzo di scatto “cam on, we turn over” che il Nozz aspetta e sti qua non apprezzano come dico io che mi sdilinquisco ogni campo solcato che vedo. Tante volte fossero appassionati di botanica? Per son saper né leggere e né scrivere faccio vedere la centaurea filiformis, l’helicrisum saxatilis, la nepeta massiliensis e il teucrium flavum e stavolta, almeno Uli, fa finta di essere vagamente interessato. Non altrettanto però al panorama che si ammira dal ballatoio di Sas Traes, laddove si vedono sa Oche, Badde Pentumas e Duo Vidda, che descrivo in tutta la loro peculiarità. Come avessi descritto la foresta di Teutoburgo, casa loro. Così mi metto a capofila e in pochi rapidi zampettoni sto alla macchina, che se voglio son austroungarica pure io. Il Nozzolone ci vede arrivare e resta sbalordito dalla velocità. “Zitto va che manco ho magnato con sti qua” rispondo. Alle nostre profferte di berci il caffè al rifugio Sa Oche con visita della grotta alla modica cifra di due euro, idem, per Sugologone, rispondono che nain la cosa non interessa, e i nuraghi? Nein, e Sos Carros? Nein. Arrivati a Eranu li faccio smontare dalla macchina in fretta e furia che mi devo ingozzare di lardo, formaggio, carasau e ogni ben di dio che sono italiana e sarda d’adozione, ahiò e in Sardegna piove, visto che volevo passare il pomeriggio al mare per riposarmi delle fatiche germaniche e invece vien giù il diluvio sardo.

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