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Sezze tour, alla ricerca dell'Iris setina

Antefatto: “Sai che facciamo oggi? Andiamo a Sezze a cercare l’Iris setina, ti va?” Sergio acconsente perché non sa quel che l’aspetta.

L’epica impresa: Visto che i Lepini sono pieni di neve, che a febbraio nelle pendici di Monte Trevi fiorisce la rarissima l’iris setina e che la giornata dovrebbe essere fredda assai, questa mi sembra la meta ideale, il sentiero è in piano, baciato dal sole, e Sergio non ha mai visto le doline di Quartara. Parcheggiamo la macchina a via Sedia del Papa e prendiamo la mulattiera, segnata anche come via Francigena. Bene, direte voi. Invece incappiamo subito in quel che ci accompagnerà fino alla fine. Fango frammisto a boasse fresche. Sergio sta attento a non scivolare, lamentandosi immediatamente del sole e io cerco, del tutto inutilmente, almeno una piantina dell’iris, visto che stiamo per l'appunto sotto monte Trevi. Bene o male arriviamo a delle fattorie e sembra proprio che qui finisca il sentiero, o, per dir si voglia, la via Francigena. Invece, dopo un piccolo tratto asfaltato trovo, seminascosta dal lentisco, una micro traccia che passa tra due proprietà recintate e porta ad un pianoro di pingue prato abbondantemente infangato. Lo attraversiamo e scavalchiamo recinti, trovandoci davanti a un bel gruppo di tori semi-imbufaliti, per meglio dire, una strana razza mezza mucca normale e mezza bufala. Fotografo il più grosso che non mi perderà più di vista fino al prossimo recinto. Ci dobbiamo aprire il sentiero con le cesoie e, tra rovi, arriviamo ad una traccia in salita melmosissima e acquosa, percorsa da un tubo per l’acqua. La seguiamo, o meglio, la seguo tra lentischi e ginestre mentre sento Sergio profferire la fatidica frase “torno indietro non ne posso più”. Che fare? Fargli baluginare le doline della Quartara. “Dai, ci siamo quasi”. Attraversiamo un’altra tancas recintata, di acqua melmosa laddove si affonda fino alla caviglia, per vedere che il tubo parte da una lunga pozza, immagino risorgente. La prima dolina sta davanti a noi, il fondo è un roveto inestricabile per cui sconsiglio Sergio dal scenderla. La seconda è più avanti, con le pareti rocciose, quasi un Su Suercone (230 X 70 m). Ciò rimette Sergio dell’umore giusto, per cui, per rincuoralo meglio, propongo di mangiare. A dire il vero la mia inconfessata speranza è scenderla e vedere bene tra le rocce cosa può celarsi, il calcare è bellissimo, ma non devo troppo tirare la corda con Sergio che miracolosamente è arrivato fin qua. Così andiamo a mangiare al rudere della casa poco distante. Dove avevamo mangiato anche con Arnolfo e Giorgio, perchè è merito di quest’ultimo se conosco il posto e i suoi segreti. Sergio non vuole assolutamente tornare da dove siamo venuti e meno che mai fare il giro per l’Arnale dei Bufali, bensì raggiungere la strada asfaltata e le abitazioni che si vedono, piuttosto lontane, profilarsi dietro Monte Trevi. A me va benissimo perché ho ancora la vaga speranza di trovare l’iris. “Vedi c’è una strada” mi dice, peccato che per arrivarci tocca scendere il colle ripidissimamente attraverso ampelodesmi altezza uomo e qualche albero di sughero, sperando di non incappare in qualche pozzo essendo impossibile vedere dove si mettono i piedi. Sfortunatamente per noi spelei niente pozzi, ma atterriamo sani e salvi in un sentiero degno di tal nome, fiancheggiato da una discarica di rifiuti e amianto. Fatta un po’ di strada asfaltata a tornanti, direzione Sezze, riecco il sentiero via Francigena, con tanto di segnali gialli, che seguiamo. Anche questo ridotto in uno stato pietoso. Finalmente arriviamo di nuovo alla strada asfaltata e da qua non vogliamo spostarci per altri sentieri, tranne che per prendere “via Madonna del Colle – Percorso benessere”. “Questo dovrebbe tagliare un bel po’ di strada asfaltata” propone Sergio, ma, fatti pochi passi vediamo che tutto è via che percorso benessere, anche qua recinti e un uomo che ci viene incontro minaccioso “è chiuso” “infatti stiamo tornando indietro” rispondo acida. Che a dirsela tutta, sti setini hanno proprio rotto. Il loro territorio, anticamente di una bellezza strepitosa, tra Lepini e mare, è un disastro, sentieri inesistenti recintati da proprietà private, Riparo Roberto devastato da scritte e vernici sopra i graffiti, orme di dinosauro all’interno di una cava privata in disuso mai valorizzate, i soliti cumuli di immondizia sparsi qua e là, come del resto in tutto il Lazio. “Saranno i peggio fasci, del resto il sud pontino questo è, fascio, e dove c’è fascio non c’è cultura né cura del territorio”. Amareggiata proseguo per la strada asfaltata..... . “T’è piaciuta st’escursione?” chiedo a Sergio “non ti devo dare retta mai e qua non ci torno più”. Famose a capi….
Alla prossima!!! Mg 13.1.2021

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