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4.5.2019. Cuccuru cazzeddu
A dar retta alle previsioni meteo non avremmo dovuto alzarci dal letto, tutto il giorno a giocare a scopa…ma no! Presto che è tardi, andiamo a cuccuru cazzeddu, che sarebbe “cima della cimetta”, sul monte Bardia. Perché in questo angolo di Sardegna non piove mai per la gioia degli escursionisti. Lasciata la macchina alla curva dell’Irveri prendiamo baldanzosi il sentiero per il Bardia, nuovo di zecca. Si sale un ripidissimo ghiaione e poi delle scale a ginepro con tanto di mancorrente di corda come quella del monumento ai caduti dei Serini. Evidentemente anche qua c’è sto pericolo che uno casca e non ritrovino nianca i ossi. La domanda è “perché hanno fatto sto sentiero? Chi è stato?” vista la mancanza di bandierine del CAI. “Secondo me il CAI Napoli che rende tutto a dimensione umana”. Intanto arriviamo al cuile di Monte Ruju, nuovo come il sentiero, quello che ci ha consigliato Maria “andiate al cuile Ruju” che si chiama come il marito. Andati siammo. Bon e ora? Riprendiamo il sentiero per cuccuru cazzeddu e scopriamo cosa come e perché. Da cartello apposito “qua passa la Magnalonga dorgalese”. Tutta una scusa per mangiare e bere a più non posso e, onde non far rotolare i partecipanti dai dirupi del Bardia, hanno addomesticano esageratamente il sentiero. Buon per noi che siamo i primi a testarlo, evidentemente. Senonchè Sergio devia proprio “questo scende, dobbiamo prendere l’altro”. Quello niente affatto addomesticato che, ad una certa, diventa il solito cellymassag. E qua basta, il cielo minaccia e Sergio non ha intenzione alcuna di andar per fratte in cima al cuccuru cazzeddu. Certo, io si, se non altro per il nome, ma mi adeguo alla maggioranza. Torniamo indietro sui nostri passi per mangiare al cuile Ruju e tornacene a Gonone. Ma per ma è ancora presto “ciao ciao me ne vado al mare”. Appena arrivata ai basalti colonnari si mette a piovere e addio, presi baracca e burattini torno a casa a studiare fiori che ne ho finchè scampo.

5.5.2019 Santu Pedru
Tutta la notte ad ascoltare il vento che infuria come un tornado “e domani chi esce?”. Però Giammichele ci aspetta per cui, appurato che la macchina non è finita a mare, andiamo all’appuntamento. “Ventu? Ma no, andiamo lo stesso”. La nostra meta è la necropoli di Santu Pedru verso Alghero, previa sosta a Nuoro per prendere Rosaria. Fortuna che stiamo calducci in macchina, scendiamo solo a fotografare lo sventolante verbasco cretico e poi, davanti al dromos della prima tomba, ci tocca proprio affrontare la bufera. Dentro la tomba c’è un gruppo torinese che ascolta la guida descrivere dettagliatamente la civiltà prenuragica. Rosaria e io vorremmo aggregarci ma l’altra guida ci avverte che facciamo parte del secondo gruppo composto da noi 4. Però, quando vediamo tutti sparire dentro l’angusto ingresso della celletta, ci fondiamo a pesce pure noi, alla ricerca di un riparo ipogeo. I piemontesi non si schiodano, dopo aver ascoltato la preistoria sarda da 35.000 anni in poi, intonano un coro che non c’entra un piffero con tutto sto sardume, un canto di montagna alpino con valli e ambaradan del genere, non solo, ma una attacca pure una pippa su Bomarzo, che solo la pazienza sarda evita di mandarcela a pascolare sulle alpi. Noi non siamo altrettanto pazienti, in attesa del nostro turno andiamo alla ricerca delle altre domus de janas della soprastante collina, tra vento gelido e pioggia. Ma io vorrei tornare per ascoltare la mia parte di spiegazione, ecchè, ci spetta di diritto, ancorchè sappiamo già tutto di nostro. Della qual cosa sgamano e ci raccontano due cose in croce tanto per farci contenti. Bon, è ora di mangiare, ma di uscire dalla macchina non se ne parla. Facciamo tutto un mas-ciamento di fregole scambiandoci le specialità che ciascuno ha portato, fave, formaggio, mortazza, pane carasau, salsiccia, salame, arance di Rosaria, amaretti, pesche al gianduia e cannonau, cannonau, cannonau. Satolli e mezzi alticci cerchiamo il nuraghe Palmavera, “basta morti” dice Rosaria, “andiamo a vedere roba di vivi”.Ce la mandiamo, nel senso che solo lei va a visitarlo, noi ce ne guardiamo bene dall’uscire dalla macchina. Il solo spostamento che ci resta è la casa, accogliente come una domus de janas, aspettando che il freddo passi che sarebbe anche ora. Ha stufato.

6.5.2019 Gorropu
C’è ancora vento, per cui Sergio decide di non mettere il naso fuori di casa ma la giornata è troppo invitante per me “ti dispiace se vado a Gorrupu da Sa Barva e risalgo per Genna Silana?”. 5 ore di cammino, una specie di giro del lago, con 600 m di dislivello. Figurarsi se gli dispiace avermi fuori dalle balle, mi accompagna a Sa Barva e mi riprenderà a Genna Silana. Bon, mi avvio respirando a fondo le essenze sarde col cicaleccio tedesco di sottofondo. Cerco di distanziarmi dai teutonici per godermi il silenzio, i fiori, il flumineddu e sognare le pareti dell’Oddeu, sopra la mia testa. Cosi arrivo a Gorropu quasi senza accorgermene. Qua vado subito al botteghino per chiedere quando tempo serve per Genna Silana. E faccio conoscenza con Filippo, giovane speleo, che mi invita a far la gola gratis “grazie ma la conosco bene, sto qua per fiori”. Intanto vedo una tizia seduta con la testa sanguinante tutta fasciata, a dire il vero non si lagna, sta seduta come se niente fosse.
Vado a fare scorta d’acqua nella sorgente, sotto una frana recente, e sento il rumore di un elicottero che scende nella gola. Verrà a prendere la ferita, immagino. Così mi gusto l’operato del CNSAS e dell’elicottero che fa un gran casino sollevando l’acqua del flumineddu facendo scappare i turisti. Non mi attardo troppo, telefono a Sergio per dirgli che in 2,30 starò al bar, ci vediamo lì e mi avvio. Arrivo prima del previsto, nonostante le innumerevoli foto botaniche. Ajò che allenata sono. Merito di Giorgio, ovviamente, che nostalgia! Così mi spaparazzo al bar con una birra fresca e il carasau al posto delle patatine. Ecco Sergio, torniamo in fretta che dobbiamo cercare la frontale che ho dimenticato chissà dove. Forse al buco di Sedda e’ satta. C’inerpichiamo per calcari ma la frontale non c’è, solo un bel blocco di coralli fossili che metto su un sasso a mò di segnacolo. Qua c’era il mare,. Embè? Anche sotto di noi, basta guardare giù attenti a non precipitare come la turista che s’è goduta una gita in elicottero.
Sempre grazie CNSAS.

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