resoconto precedente

torna all'indice
torna al menu

Monte Dragone, escursione botanico-speleologica

Antefatto: Domanda: “siete mai saliti sul Monte Dragone?”. Secondo me il 99,99% delle persone risponderà non solo che non ci son mai salite (e nemmeno SanVincenzodaItri, presumo) ma che non ne conoscono l’esistenza. Nemmeno io, prima di leggere “Aurunci”, e scoprire che sto monte, alto ben 365 m, fa parte del massiccio pur essendo sopra la Piana di Sant’Agostino, non solo, ma che ha interessanti e rarissime specie botaniche tra cui la microscopica felce “Ophioglossum lusitanicum L.”. E si sa, i botanici non possono morire senza aver trovato l’ Ophioglossum lusitanicum. Tocca che ce li porto durante il raduno Actaplantarum. Però, prima, devo fare un sopralluogo per vedere il sentiero com’è.

L’epica impresa: Come convincere qualcuno a venirci? Facilissimo, alla Piana di Sant’Agostino c’è Quirino, che fa panini con la mozzarella di bufala spettacolari, con me vengono senza indugio alcuno il Nozzolone e Luca-geologo. Certo, entrambi con l’intento speleologico “vediamo se sto monte calcareo, piccolo monte grande grotta, nasconde qualche buco”. C’è una faglia notevole che lo percorre fin quasi in cima. E già questo è interessante. Parcheggiamo la macchina più su possibile, visto che non c’è traccia di sentiero. Lo spiazzo è una discarica, ma qua, come altrove, ogni parcheggio è una discarica, tra l’altro il monte, a cono, ci accoglie con la vegetazione tutta bruciata e un freddo siberiano. Poco male, Luca e io ci fiondiamo dritto per dritto verso la cima peggio dei forsennati del CAI, il Nozz, invece, traversa a cercar la faglia. Arrivare alla cima è facile, da sta parte, ma sopra è tutto un aguzzamento di calcare tremendo, Luca mi spiega anche il perché e il percome, carta geologica alla mano. Invece della classica croce, che nessuno si è premurato di portare, è incisa su una pietra la quota “III 194” anvedi che altezza! Mentre cerco la flora rarissima, Luca scende un buco che sembra un pozzo, ma potrebbe benissimo essere la favissa di un tempio che non c’è più. Né io né lui troviamo alcunché ma il panorama davvero è strepitoso, dal Petrella al Circeo. Non ci resta che scendere alla faglia. Il chè diventa un vero tormento. I massi di calcare appuntiti ed instabili, intervallati da ampelodesmo e vegetazione bruciata, mettono a dura prova l’equilibrio di gente già di suo squilibrata. Ci impieghiamo il tempo della discesa di un meno mille per arrivare al filo spinato sotto il quale si aprono le pareti della faglia. Il Nozz ci aspetta lì, con fare sornione “entrate pure”. Una foresta amazzonica spinosa quasi impenetrabile. Il quasi è perché Luca, freddamente determinato a trovare grotta e felce rara, prende il bastone del Nozz e con furia belluina si fa largo fino alla fine. Lo seguo, tentando invano di vedere due foglioline microscopiche con un piselletto in mezzo, così è fatta. Vedo niente. Si qualcosa di strano c’è ma sono cristalli di calcite a rosetta, tipo quelli che si formano nelle vaschette sott’acqua, solo che stanno in parete. Luca mi spiega il cosa e come della formazione aerea e in parete di questi cristalli (chiedete lumi all’esperto). Usciamo con le pive nel sacco, niente felce, niente grotta. Fuori fa un caldo boia e Luca spiega il cosa e il come “è la temperatura di questo monte, soggetta a sbalzi estremi”. Si come monte è veramente estremo, non ci porto i botanici, tra l’altro a parte le comunissime Romulea bulbocodium (L.) Sebast. & Mauri e Anemone hortensis L. altro non c’è. Bon, si va a mangiare da Quirino, che non è certo come Carmina, ma a consolare consola anche lui. E poi? Bando alla pigrizia, c’è da vedere Monte Orlando, dice SanVicenzodaItri che per i botanici va bene. Luca, che ha mangiato come uno sfrocedato, ha da ridire a fare tutta sta camminata aggratisse, ma poi fa buon viso a cattivo gioco vedendo che sto Monte si affaccia al Petrella, patria nostra. La camminata è interessante, ma abbastanza banale come flora, a meno che uno non si sporga dalle pareti aggettanti e mentre prega la madonna del monte e il redentore dirimpettaio di non precipitare, scorga la Campanula fragilis Cirillo e, tutto contento, mentre la fotografa, si accorga che fragilis è la sua capoccia spiaccicata sul litorale di Gaeta.
Alla prossima!! Mg 10.2.2018
resoconto precedente

torna all'indice
torna al menu