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Monte Velino

Il nome deriva probabilmente dalla radice Vel, che nell'antico dialetto marsico, significa distesa d'acqua, palude, perchè probabilmente il lago ora prosciugato del fucino raggiungeva la base del monte.
Ha la forma di un'aguzza piramide ed è limitata ad Ovest dal vallone Orticito, che lo divide dal Monte Sevice e ad est dal Canalino (o "canalone tra i due velini") che lo separa dal Pizzo Cafornia; verso Nord si presenta scosceso, con numerosi circhi dove c'era il ghiacciaio di Teve, lungo 7 km.

Inquadramento geografico

Uno dei gruppi montuosi più cospicui dell'Appennino centrale è quello del Velino che culmina con la vetta omonima.
E' composto da due catene principali: quella del monte Velino, che comprende anche i monti della Duchessa e della Magnola ed a est, quella del Sirente.
In messo a queste due catene c'è n'è una terza più piccola, costituita dai monti della Serra di Celano, Faito e Pizzo di Ovindoli.
Questa massa montuosa raggiunge il suo più grande sviluppo nel lato meridionale con il Monte Velino (2487 m), torreggiante a NO del Fucino, occupando il terzo posto in altezza fra le cime dell'Appennino, dopo il Gran Sasso e la Maiella, rimanendo il punto culminante più centrale della Penisola, ad uguale distanza dall'Adriatico ed il Tirreno.

Inquadramento geologico Velino-Sirente

Sotto il profilo geomorfologico il Parco Regionale Sirente-Velino è caratterizzato da una serie di unità ben differenziate per i processi morfogenetici che le hanno originate e per le forme osservabili.
A partire da nord verso sud, esse possono essere così definite:
- valle del fiume Aterno
- rilievi ai margini della valle del fiume Aterno
- conca subequana
- massiccio del Velino
- altopiano delle Rocche
- massiccio del Sirente
- margine fucense.
Come esempio di morfologie montane si osserva che i piani altitudinali superiori del massiccio del Velino sono caratterizzati dalla grande diffusione di forme glaciali e periglaciali.
La Val di Teve, la Valle Majelama, l’area di Piano di Pezza e i M.ti della Magnola conservano alcune tra le più belle testimonianze del glacialismo quaternario nell’Appennino.
L’alta Val di Teve, in particolare, è assolutamente caratteristica per l’evidenza e la didatticità delle morfologie glaciali e periglaciali. Qui sono stati osservati due rock glacier, forme caratteristiche di ambiente periglaciale con presenza di permafrost, di cui viene per la prima volta segnalata la presenza nel territorio del Parco.
Forme tipiche di questa unità di paesaggio sono circhi glaciali, scarpate glaciali e depositi morenici.
In alta Val di Teve e alta Valle Majelama sono presenti rocce montonate. Diffusi sono i fenomeni di dissesto quali frane in roccia, movimenti del suolo, falde e conoidi di detrito.
I processi morfogenetici glaciali all’origine di questa unità sono attualmente inattivi.
Come esempio di morfologie d’altopiano, l’altopiano delle Rocche è costituito da tre distinte depressioni tettonico-carsiche separate da soglie. Dal punto di vista geologico sono tutte caratterizzate dall’affioramento, nella porzione occidentale, di unità marnoso-arenacee, mentre la porzione orientale è occupata da depositi fluviali e lacustri recenti; i margini sono sempre modellati in unità calcaree di ambiente di piattaforma carbonatica.
Sia la depressione settentrionale (altopiano di Rocca di Mezzo-Rocca di Cambio) che la depressione centrale (altopiano di Rovere) risultano endoreiche. La prima viene drenata dal sistema di inghiottitoi di Pozzo Caldaio, che si apre in prossimità del margine settentrionale (tra gli abitati di Rocca di Cambio e Terranera); il percorso sotterraneo dell’acqua è almeno in parte conosciuto, corrispondendo al sistema delle grotte di Stiffe.
La depressione centrale viene drenata dal sistema di inghiottitoi di Fosso Carotto, nei pressi di Rovere.
La depressione meridionale (altopiano di Ovindoli) è più articolata dal punto di vista idrologico. Le acque che vi confluiscono, difatti, in parte si dirigono verso l’altopiano di Rovere e quindi all’inghiottitoio di F.so Carotto ed in parte vengono drenate, in superficie, lungo la Val d’Arano e le Gole di Celano. Alcuni piccoli inghiottitoi presenti nella porzione centrale dell’altipiano sono probabilmente collegati con un sistema di drenaggio subsuperficiale diretto verso le Gole di Celano.
Sotto il profilo geologico-stratigrafico i complessi geo-litologici presenti nel parco risultano caratterizzati da sequenze pre-orogeniche meso-cenozoiche, spesse circa 3.000-4.000 m, attribuibili a facies di piattaforma carbonatica (con relativo margine), scarpata e bacino. In particolare queste sono connesse all’evoluzione spazio-temporale della cosiddetta Piattaforma laziale-abruzzese, importante unità paleogeografica che ha caratterizzato e vincolato l’evoluzione di buona parte dell’Appennino centrale. A questa si associano le unità bacinali che andavano a circondare la piattaforma (a E le unità umbro-marchigiano-sabine, a W le unità riferite ad un ipotetico “Solco marsicano” le cui unità litologiche sono visibili presso S. Potito a alla base della Serra di Celano e nel settore della conca subequana).
Nell’area del parco affiorano litologie di pertinenza di queste unità e, in buona sostanza, prevalgono litologie calcaree, limitatamente calcareo-dolomitiche solo alla base per le facies di margine e, nella parte sommitale, per le facies di scarpata, sono presenti litologie marnose.
Le rocce affioranti nel parco del complesso calcareo sono riconducibili a litofacies di piattaforma interna (laguna), retromargine e margine (monoclinali dei M. d’Ocre, M. Velino, M.ti della Magnola e M. Sirente e Serra di Celano).
Si tratta di unità litologiche di età che si distribuisce dal Miocene medio (20 Ma fa) al Lias superiore (200 Ma fa) costituite da alternanze di calcari a varia tessitura (calcari granulo-sostenuti, fango-sostenuti, calcari biocostruiti e calcareniti) ben stratificati in bancate o massivi talora con selce in noduli o liste. Localmente si hanno intercalazioni di calcari dolomitici, di micriti calcareo-marnose e sottili orizzonti marnosi.
Il complesso calcareo è costituito da litotipi carbonatici appartenenti agli ambienti sedimentari di piattaforma interna (Calcari a radiolitidi, Calcari intrabauxitici, Calcari a birds-eye, Formazione di Morrone di Pacentro fra le più diffuse), margine (Calcari cristallini, Calcari a rudiste e orbitoline, Formazione della Terratta fra le più diffuse), rampa, per le formazioni mioceniche, (Calcari a briozoi e litotamni, Calcareniti spongolitiche e a macroforaminiferi) e scarpata-bacinale (Maiolica, Corniola). In genere i calcari di laguna e retromargine sono ben stratificati, mentre quelli di margine sono massivi.
Le distinzioni fra le differenti unità si basano su criteri di rilevamento bio- e in secondo ordine lito-stratigrafici, in funzione di una ricca varietà di foraminiferi bentonici, alghe calcaree e macrofossili (tanatocenosi a rudiste) diffuse in tutte le facies del Cretacico della piattaforma carbonatica laziale-abruzzese ; a queste si aggiungono i coralli per le facies di margine e le nerinee per quelle di retromargine, in ambedue i casi del Cretacico inferiore e del Giurassico superiore. A più altezze nella sequenza si rinvengono orizzonti repere molto continui arealmente di spessore limitato, metrico o decametrico, che aiutano quindi a ricostruire i limiti geologici fra le differenti unità. Inoltre testimoniano eventi paleoclimatici o paleogeografici che hanno soggiaciuto la Piattaforma laziale-abruzzese nella sua lunga storia tettonico-sedimentaria.
Un esempio notevole è dato dalle sequenze in facies di laguna di calcari fango-sostenuti e marne, che indicano parziali emersioni della piattaforma nel Cretacico con circolazione di acqua freatica continentale.
La presenza di quest’orizzonte nelle sequenze calcaree permeabili per fessurazione e carsismo dal punto di vista idrogeologico acquisisce un notevole significato. Infatti, il materiale marnoso, ove presente, può comportarsi da livello di base locale per sorgenti di limitata portata e regime discontinuo, ma di rilevante importanza per la posizione in alta quota nei massicci carsici del parco.
Infine nel Cretacico superiore nelle sequenze in facies di laguna si rinvengono almeno due orizzonti di spessore metrico di bauxiti. Questi livelli di facile riconoscimento sul terreno denotano lacune di sedimentazione nel Cretacico legate a periodi d’emersione della Piattaforma carbonatica laziale-abruzzese per abbassamento relativo del livello della Tetide. Le bauxiti sono interpretate come accumuli di paleo terre rosse formatesi a spese dei calcari emersi ed esposti ai climi tropicali del Cretacico. Alle bauxiti, di tipico colore rosso, in genere ricche di pisoliti terrose si associano o si sostituiscono spesso brecce calcaree a matrice rossastra. Nei decenni passati si è tentato uno sfruttamento minerario delle bauxiti per l’estrazione dell’alluminio. Nell’area del parco infatti, sono disseminate tutta una serie di cave a fossa o saggi che potrebbero presentare attualmente un richiamo turistico. Si potrebbero creare sentieri che andrebbero a toccare le miniere più caratteristiche: per esempio quelle di Campo Felice, del Piano di Pezza che potrebbero essere tra l’altro bonificate; infatti alcune di queste sono oggi sede, in parte, di scarichi di rifiuti.
Sotto il profilo idrogeologico il territorio del Parco Regionale Sirente-Velino si inquadra nella situazione tipica dell’Appennino centrale, caratterizzata da importanti ed estesi acquiferi regionali, costituiti dalle dorsali carbonatiche, circondate da cinture di materiali meno permeabili, che fungono da limite di permeabilità basale
I litotipi che costituiscono tali limiti sono rappresentati in linea generale da due diversi tipi di sedimenti:
- i sedimenti sinorogenici terrigeni (flysch), che essendo caratterizzati da una permeabilità molto bassa rappresentano dei limiti a flusso nullo e quindi non interagiscono con le falde regionali carbonato-carsiche contenute nei massicci montuosi;
- i sedimenti plio-quaternari continentali, che hanno riempito le depressioni determinate dall’attività tettonica recente oppure che costituiscono i depositi alluvionali dei corsi d’acqua. In questo caso, la permeabilità relativa dei sedimenti alluvionali quaternari può influenzare l’idrodinamica sotterranea, permettendo scambi idrici sotterranei tra acquiferi carbonatici e falde multistrato dei depositi quaternari, che in genere ricevono apporti idrici sotterranei dai rilievi montuosi.
Gli importanti acquiferi carbonatici, permeabili per fessurazione e carsismo, sono alimentati direttamente dalle precipitazioni, sotto forma di infiltrazione efficace, con aliquote molto elevate, corrispondenti a circa il 70% del totale degli afflussi.
Questi importanti acquiferi vengono generalmente drenati alla base da alcune sorgenti, caratterizzate da portate elevate (spesso maggiori di 1 m3/s), regime di portata abbastanza stabile e assenza di caratteri morfologici carsici in prossimità delle emergenze.
I gruppi sorgivi più importanti, localizzati al margine delle strutture carbonatiche, che vengono alimentati in prevalenza dal sistema idrogeologico del Sirente, sono Fontana Grande-S.Francesco (Celano), Forma Grande-Lago del Barone (Molina Aterno), la sorgente lineare dell’Aterno (gole di S.Venanzio) e Rio Pago (Ovindoli-S.Potito), l’unica appartenente al sistema del Velino (settore della Magnola).
Va considerata a parte l’importante risorgenza carsica di Stiffe, come detto connessa ad un inghiottitoio carsico.
Spesso però, sorgenti di portata limitata si osservano ai margini dei rilievi carbonatici o nelle zone pianeggianti interne ai massicci, o ancora nelle piane alluvionali stesse.
Quest’ultima categoria di sorgenti è molto diffusa e rappresenta una risorsa idrica strategica, soprattutto in aree montane, tanto da essere oggetto di sfruttamento intenso, sia a scopo idropotabile che civile e agro-zootecnico.

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