va al triglav 2006
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Camminando sul Triglav

Come ogni anno, verso settembre, appena le condizioni atmosferiche si fanno favorevoli, Sergio e Maria Grazia, speleologi e molto appassionati di montagna, non disdegnano la scarpinata nei monti. Quest'anno il massiccio prescelto è il Triglav, già Tricorno, in quel della Slovenia- Alpi Giulie.
Perché il Triglav? Per molte buone ragioni: è più selvaggio delle Dolomiti, è meno caro, è bucherellato da grotte, nel caso di brutto tempo ha la Croazia vicina…con un mare smeraldino ed isole non meno carsiche…
Così dopo un assaggio, appunto, dell'isola di Cres, necessario a causa delle avverse condizioni meteo, dopo aver scarpinato attraverso gli innumerevoli sentieri dell'isola, stanchi morti di mare e di sole, abbiamo senz'altro deciso di avventurarci per monti. La sorte ci è stata propizia, nonostante un benvenuto con fulmini e pioggia scrosciante, un'uggiosa mattina ci siamo messi in moto da Stara Fuzina, letteralmente in moto, pagando il pedaggio di ben 1000 talleri (corrispondenti a circa 10.000 delle vecchie lire) per portare la macchina più vicina possibile all'inizio del sentiero prescelto.
Abbiamo deciso di fare campo base al rifugio Koca na pri jezeru (mt.1453), passando per un sentiero d'andata, ed uno di ritorno, nei quali erano segnalate due grotte, rispettivamente la "grezno pri gamsovi glavici" e la "majska jama".

Il Triglav, infatti, essendo un massiccio calcareo, formatosi prevalentemente nell'era mesozoica, nel quale predomina il calcare di formazione triassica (calcare a conchiglia e calcare del Dachstein), è sicuramente interessato da notevoli fenomeni carsici, quali inghiottitoi, doline, campi solcati e risorgenti (la risorgente della Savica, che genera la famosa cascata "slap Savica" è la più eclatante).
La nostra speranza di incontrare la grotta è stata premiata, dopo diversi ripidi saliscendi, saliscendi che, per inciso, hanno caratterizzato tutti i sentieri da noi percorsi, l'occhio vigile si è fermato sul maestoso ingresso di un -770, sassi da tirare per sondare la profondità non ce n'erano a vista d'occhio, ma le nostre menti vagheggiavano pozzi orridi…..per fortuna materiale speleo non l'avevamo…. Cammina cammina, zizzagando per doline, siamo arrivati alla Planina Visevnik, dove come per incanto si è materializzato un essere umano che ci ha intimati a prendere un cai (thè), per non essere scortesi l'abbiamo accontentato, pur essendo a mezz'ora dal rifugio prescelto.
Arrivati al Koca na planina pri jezeru, depositati i bagagli, tanto per non stare con le mani in mano, abbiamo sciaguratamente deciso di andare a vedere la planina vodicni vrh, uno dei molti campi chiusi che scandiscono la monotonia (si fa per dire) dei boschi, campi che oltre alla particolarità di essere polje, sono caratterizzati dalla presenza d'artistiche casette d'alpeggio armonicamente disseminate.
L'indomani, una giornata limpidissima ci invita a perseguire la meta del nostro trekking: il sentiero che dal rifugio porta al successivo "velo polje", sentiero da noi già percorso l'anno precedente, dove, sbagliando itinerario sotto una pioggia incessante, ci eravamo trovati a camminare tra buchi e campi solcati, in uno scenario da mille ed una grotta….tornarci era d'obbligo.
Anche questa volta il percorso ci ha portato a rivedere la planina v lazu, stavolta disabitata, laddove l'anno scorso un malgaro, a gesti, ci fece assaggiare il formaggio appena fatto.

La nostra speranza di rivedere i buchi è stata ampiamente ricompensata, oltre ai buchi abbiamo visto innumerevoli funghi, velenose amanite muscarie, enormi lattari, golosi idnum, nonché ciuffi di stelle alpine, qualche camoscio, una marmotta ed un'aquila.
Ritenendoci soddisfatti, ed un po' stancotti, abbiamo deciso di prendere una scorciatoia, segnata sulla cartina ma non sul terreno.
Fino ad un certo punto è andato tutto bene, riconoscendo le varie indicazioni morfologiche, tuttavia, arrivati alla planina kristenica non riconosciuta come tale, con sgomento, non essendo più segnato il sentiero, che invece doveva esserlo, abbiamo deciso di tornare indietro, anziché fare il giro prescelto, molto più corto.
Fortunatamente, per i nostri provati piedi, abbiamo incontrato una scolaresca con insegnante che parlava italiano, il quale ci ha spiegato l'inghippo.

Così fatti altrettanti infiniti saliscendi, siamo arrivati al koca na pri jezeru sani e salvi.
Ultimo giorno, ritorno attraverso il monte Prsivec (mt.1761), soliti saliscendi, più sali che scendi, solite visite interessate nelle varie doline, tappa all'ingresso imponente della "majska jama", e finalmente la cima: sotto un cielo terso la vista si espande a 360 gradi, con i monti a corona davanti a noi, tutte le cime delle Alpi Giulie, e sotto, a perpendicolo, il lago di Bohinj.
Vicino alla cima la morfologia carsica del monte si fa ancora più marcata, doline sempre più fonde e numerosi pozzi rendono entusiasmante il nostro proseguire, i vicini Velebit sembrano aver portato qui il loro aspro aspetto.
Nei pressi della macchina cespi di armillariella mellea, più volgarmente detti "chiodini", ci invitano alla raccolta
Siamo così tornati a Roma satolli e soddisfatti…compresa la provvista per l'inverno.

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