pagina successiva
pagina precedente
torna all'indice

torna al menu

7.3.2016 Cava d'Ispica 7.3.2016 Cava d’Ispica. C’è il sole, anche se fa fredoloselo e non scirocasso, la nostra destinazione è Cava d’Ispica con l’intenzione di percorrere tutti i 14 kilometri da Modica a Ispica e viceversa.
Il navigatore, che ancora non ha capito niente delle strade sicule, ci porta a un “Mulino ad acqua in Grotta”, così c’è scritto nel cartello. Andiamo! Sarebbe questa la partenza del sentiero per Cava d’Ispica. Però dobbiamo visitare questo mulino che più che in grotta sta su una casa, ma che, come ci spiega il mugnaio-custode-barista, è stata costruita tranciando delle grotte.
Dalla contentezza di vedere questa meraviglia di mulino arabo, mi compro la cioccolata di Modica. A ciò invogliata dalle innumerevoli specie di cioccolata che vedo belle esposte nella biglietteria del Mulino-bar.-casa del mugnaio. Perché sta cioccolata al peperoncino, alla cannella, alle mandorle, all’arancio, è prodotta senza burro di cacao, senza scaldarla, con tutto un procedimento che levati e perciò costa cara. Compro quella alla cannella e il Nozz, udite udite, quella alla mandorla.
Visitata la meraviglia del mulino e della casa antica, proviamo ad assaggiare questa delizia “non la masticate, la dovete sciogliere in bocca pian piano”. A me restano tutti i pezzi di cannella nei denti e il Nozz, mangiata la sua, subito declama “na schifezza!”. Quella di Eurospin che costa 45 cent è più buona di questa che costa 2,5 euri e ti tocca pure trattenerti dal divorarla in un boccone. Ciò appurato andiamo a visitare il parco archeologico di Cava d’Ispica, che sta prima dell’agognato sentiero. Bene facemmo perché merita, impressionante soprattutto la necropoli della Larderia, ma degni di visita anche gli ipogei del Camposanto, le grotte cadute, il ginnasio greco, le chiese rupestri, tutte ex abitazioni paleolitiche scavate nella tenera roccia miocenica, utilizzate e riadattate dai popoli che si sono via via avvicendati nella fertile Trinacria. E sono morti tutti.
Fatto il pieno di cultura, non ci resta che percorrere sta Cava. Ma fatti pochi metri ecco un gregge protetto da due cani maremmani che vorrebbero sbranarci. Il Nozz col bastone potrebbe salvarsi dalle belve ma io con la digitale non credo, la vedo dura spaventarli a furia di flash. Torniamo sui nostri passi per percorrere la Cava nell’altro verso, ossia da Ispica. Passiamo anche per Modica, come dire, almeno una città la vogliamo visitare? No! Manco ci fermiamo, troppo casino parcheggiare e pagare pure le strisce blu. Chesseimatto.
A Ispica parcheggiamo al Parco della Forza (chiuso dopo le 14) e prendiamo finalmente il sentiero. Ci fermiamo subito a visitare un orto ecologico didattico, chiuso e malmesso ma pieno di essenze nonchè di alberi di limoni e aranci. Sai che ti dico? Faccio il pieno di tutto, erbette per la pastasciutta e frutta a non finire. Satolli di tarocchi c’incamminiamo velocemente sul sentiero ben battuto della cava. Ne percorriamo quasi la metà, scoprendo via via un bel po’ di aranceti e limoneti abbandonati, ma le arance sono aspre e abbastanza amarognole (citrus x aurantiacum).
Potremmo arrivare fino alla fine se non fosse che è tardi e ci sono sempre i famigerati cani, tra l’altro si cammina immersi nella vegetazione, la gola è molto larga e non abbiamo lo stimolo speleologico di vedere buchi a portata di mano. Per oggi va bene così, sosta dal verduraio amico nostro che stavolta mi propone belle cipollette fresche che con i pomodoretti dolci di qua ci stanno una meraviglia!

8.3.2016. Megara Iblea e Thapsos. Il Nozz è stanco, deve riposarsi, per cui propone la visita del sito archeologico di Megara Iblea.
Trovarlo è stata un’impresa, ma grazie al navigatore stranamente collaborativo ci siamo arrivati ed abbiamo trovato anche la casa del custode bigliettaio il quale si è molto stupito della nostra presenza. Ci è parso di capire che il sito esiste davvero, tra il Petrolchimico di Augusta e la Cementeria.
Il custode, molto gentile, ci ha aperto raccontandoci che è stato sveglio tutta la notte per l’allarme in funzione, visto che qua arrivano vandali a portar via i reperti. Il sito purtroppo è in uno stato pietoso, erbacce (interessanti solo per me), cartelli illeggibili e distrutti, ma lo visitiamo lo stesso con tutta l’accuratezza del caso. Dopo aver dato uno sguardo al mare lurido, andiamo a visitare Thapsos, tutto d’intorno c’è puzza di zolfo, sarà l’Etna? Ma no! Il Petrolchimico! Ah, bon. Anche qua passiamo per tutta una scarpata di impianti distrutti lasciati a macerare e osserviamo la Torre di Magnisi e ci pare che tutto il bello sia qua. Però il Nozz s’incammina verso una scogliera sulla sinistra “forse qua ci sono le necropoli”. A dire il vero ci spero poco perché vedo solo bunker della seconda guerra mondiale e mi attardo a fotografare interessante flora marina. Sento però il Nozz in lontananza declamare di ipogei micenei. Come? Ebbene si, sulla scogliera di fossilifero calcare a pallocchette, si aprono un sacco di belle tombe simil-micenee, contornate da fiori di tutti i colori. Una meraviglia il tutto, mare, scogliera, tombe e fiori. Non so se fotografare come un’ossessa o mangiare, visto che il Nozz è entrato un una tomba multipla e ha estratto lo sfilatino alle olive. “Che vogliamo fare?” mi chiede, riempitosi ben bene la panza, “percorrere il perimetro della penisola” propongo “ma tu sei matta, sono stanco!” “vah ben, decidi tu allora!” “andiamo a Canicattini bagni a cercare i bagni”. Nel senso di terme? Negli Iblei calcarei? Magari l’Etna c’entra qualcosa. A Canicattini bagni non c’è ombra di bagno, ci fiondiamo al primo bar laddove una scorbutica, per due soli euri, ci fa caffè e pasticcini ottimi. “Scusi, come mai questo posto si chiama così?” “eccheneso!! Non sono di qua” e lo so, è parente di quella del bar di Artena, scorbutica uguale, ancorchè a molto buon mercato. Interroghiamo un passante allora. E chi troviamo? L’erudito del luogo che non solo ci svela l’arcano “qui di bagni non ce ne sono, il nome deriva da Bagni, il marchese napoletano che affamava i contadini e si trombava le mogli belle” ma ci racconta tutta la storia dei soprusi sul popolo siculo e delle schifezze che ci fanno mangiare (non i siculi, i supermercati). Vorrebbe anche regalarmi una preghiera portentosa contro i terremoti e una fotocopia della spina di Cristo ma il Nozz taglia corto “dobbiamo andare alla Cava di Cassibile” “ahh, ma là non c’è niente!”. Al che scopro che il Nozz ha ripreso ardore perché, effettivamente, andiamo sopra la Cava e, parcheggiata la macchina, lo vedo camminare baldanzoso per il sentiero, incurante di cani rabbiosi e di me che mi trascino ginocchioni fotografando iris rare. Bene! Facciamo un po’ di sentiero in discesa ma ci dobbiamo tornare perché il posto che vorremmo vedere è la necropoli e la grotta di Canseria, entrambe troppo distanti per oggi. La cena che il verduraro ci propone è a base di asparagi selvatici, duri come potrebbe esserlo un sicano dentro la necropoli.

9.3.2016 Anapo. Una uggiosa, fredda e piovosa mattina accende i nostri desideri più reconditi, andare per Cave e ipogei, ma con la roccia calcarea scivolosa non è il caso. Andiamo a Palazzolo Acreide a veder rovine allora. A voja a ricordare al Nozz che già l’avevamo visitata l’antica Akrai, della quale mi ricordo ogni ipogeo, solo la nebbia lo fa desistere “è vero l’abbiamo vista” cosa abbia visto per ricordarsi ciò non è dato di capire. Optiamo per i Santoni, quelli ci mancavano, ma il sito è chiuso, c’è una torma di cani incazzati e se scavalchiamo il recinto come minimo caschiamo dentro la Cava sottostante a far da cibo ai cani. Eh no! Va beh, aspettando che smetta di piovere visito il giardino di Palazzolo Acreide che, dal cartello, dovrebbe contenere maestosi alberi rari che rinfrescano il viandante stanco. Bon, a dire il vero non mi sembra siano proprio rari e poi fa troppo freddo per godermi l’ombra e la fresca brezza, meglio un cornetto con la ricotta! A furia di perdere tempo esce il sole (come preventivato) e ci dirigiamo in fretta e furia a Cassaro, laddove inizia il sentiero dell’ex ferrovia che, percorrendo la valle dell’Anapo, porta alla necropoli di Pantalica. Nessun pericolo di scivolare, la sterrata, in leggera discesa, è liscia come pista da biliardo. Il sentiero è lungo 13 km circa e il Nozz si accinge a percorrerli con suo passo solito, tipo “quellidelCAI” ma io vedo una moltitudine di orchidee e le devo fotografare tutte. “Ma sono sempre le solite” osserva il Nozz, che oggi è in vena di osservazioni “sembrano! In realtà potrebbe essere qualche rara specie sicula che si differenzia dal peletto, lo vedi il peletto?”. Nel dubbio fotografo a casaccio, che con sto vento quelle non ci pensano per niente a mettersi in posa. E poi ecco le gallerie, fortuna che abbiamo i nostri led e le attraversiamo indenni, osservando che per gli sprovveduti c’è anche il giro alternativo che somma kilometri a quelli che già dovremmo percorrere. All’una e mezza il Nozz si stoppa di botto. “E’ ora di mangiare e poi qua tra andare e tornare si fanno le 6 di sera!”. Mi pare strano perché manca solo un terzo di percorso per la fine e se tanto mi dà tanto per fare le 6 di sera dovrei fotografare tutta la flora dell’Anapo. Però è lui il matematico di casa per cui obietto solo che c’abbiamo messo tanto perché ho fotografato orchidee. Lui più o meno si convince e proseguiamo dritti alla meta. Incontriamo anche due stranieri che interrogo “quanto manca all’uscita?” “25 minuti” e subito scatta il Nozz “un’ora andare e un’altra a tornare, facciamo notte”. “Dai andiamo avanti ancora un po’, non vedi che bello?” in effetti il percorso è veramente spettacolare, tra l’altro incredibilmente pulito, non c’è una cartaccia, pare ci passino solo “quellideiCAI” che notoriamente si portano a casa anche le bucce di banana. Arrivati alla stazione “necropoli di Pantalica” il Nozz non fa più un passo avanti “qua ci siamo già stati dall’altra parte” esclama sfoderando una memoria da PicodellaMirandola. Ne convengo, anche perché, a dirla tutta, mi son stufata di sto percorso palla da bigliardo, a parte le orchidee. Torniamo indietro di gran carriera, in leggera salita e col vento contro, tanto di gran carriera che al posto delle 6 siamo alla macchina prima delle 5. Giusto in tempo per passare dal nostro amico verduraro e comprarci i pomodoretti e, stavolta, anche le melanzane grigliate.

10.3.2016. Grotta dei Briganti. Dovrebbe piovere, ma in quest’angolo di Sicilia splende sempre il sole, ancorchè il vento soffi gelido. Allora andiamo alla Grotta dei Briganti, nella gola del Cassibile, perché è troppo invitante, così giganteschina e in apparenza assolutamente irraggiungibile. Appena parcheggiata la macchina arriva la padrona della masseria che ci dà un passaggio fino al sentiero, per la gioia del Nozz che ha le gambe cionche da ieri. “Li volete pane e ricotta caldi? Andate pure a camminare che al ritorno li trovate”, così interloquisce la nostra accompagnatrice in stretto dialetto siculo che, quando si tratta di cibarie, comprendiamo immediatamente. Così abbiamo un motivo in più per essere di ottimo buon umore. Lasciato il sentiero maestro, che scende ai laghetti, dobbiamo cercare quello che va alla grotta. Il tablet del Nozz lo indica preciso anche se, a ben vedere, ci dirige sopra una scarpata che levati. Però magicamente troviamo una scalinata stretta stretta scavata dagli antenati siculi. Questa ci porta a un solco di torrente da una parte e ad una cengia aerea dall’altra. Dietro di noi arrivano un ragazzo e una ragazza che ci indicato nel passaggio circospetto assai, la via giusta. Vediamo, in effetti, che è armato con piastrina. Allora estraiamo la corda perché non vogliamo morire prima di aver assaggiato la ricotta calda. I ragazzi passano con nonchalance rifiutando la corda e, a dire il vero, la cengia fa più paura vederla che farla. Ora non ci resta che seguire la traccia che ci porta alla grotta-necropoli cercando di non precipitare nel baratro sottostante. La prima grotta che incontriamo è quella con l’acqua, utilizzata anche dagli arabi come conceria, da ciò in nome Canseria della zona. Poi scalette, scalette, ecco l’imponente arcata dell’anfratto sotto roccia pienissimo di ipogei di tutti i generi, alcuni, purtroppo, deturpati da scritte in vernice. Scattate le centinaia di foto del caso, andiamo via lesti prima che piova e il calcare sdrucciolevole ci fiondi di sotto. Nella masseria la ricotta non è ancora pronta “presto aviti fattu, chista è pronta fra un’ora e mezza!”. Bon, non ci resta che andare a Canicattini bagni a prendere il caffè a buon mercato della scorbutica, sperando di non incappare nell’erudito. Anche stavolta paghiamo una miseria per caffè, minne di Sant’Agata e arancino, e la scorbutica ci fa anche festa, come dire, “chisti orami clienti sono!”. Ritorniamo nella masseria e stavolta troviamo ricotta e pane appena fatti e, per la contentezza, ci compriamo anche una forma di formaggio, dopo aver appurato che il pozzo di Canseria sta vicino “ma ci dovete andare in tanti, in due non si può!” ci dice il marito della fattora. Più che altro con 10 metri di corda e senza imbraco è troppo rischioso fare un meno 100. Anche se ormai sappiamo dove sbuca sto qua, alla grotta del brigante laddove esce l’acqua. Visto che abbiamo la ricotta non ci fermiamo dal verduraio che si starà chiedendo se siamo per caso precipitati nell’abisso. Bon, domani andiamo a salutarlo… continua.....

pagina successiva
pagina precedente
torna all'indice

torna al menu