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IL PARCO DEI CASTELLI ROMANI

LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO SALVA IL PERIMETRO DEL PARCO

Con questa sentenza restano sotto tutela habitat naturalistici in pericolo come le Piagge di Nemi e il Vallone tempesta, il Monte Artemisio, il Bosco del Cerquone, i campi di Annibale, i pratoni del Vivaro, il lago Albano e quello di Nemi.
Il Consiglio di Stato con sentenza n.3518 del 14 giugno 2012, ha respinto il ricorso del comune di Marino che aveva impugnato, innanzi al TAR del Lazio, il piano di assetto del Parco dei Castelli Romani le cui previsioni avevano inciso in maniera significativa (e restrittiva) sugli strumenti urbanistici già adottati dal Comune stesso ponendosi, altresì, in contrasto anche con le più permissive previsioni del Piano territoriale paesistico regionale (PTPR) che secondo il Comune avrebbero dovuto prevalere su quelle del Parco.

Di seguito lo stralcio della sentenza.

FATTO

Con il ricorso in appello in esame il Comune di Marino ha chiesto la riforma della sentenza del T.A.R. con la quale è stato dichiarato inammissibile per carenza di interesse il ricorso proposto per l’annullamento della deliberazione del Consiglio Direttivo del Parco Regionale dei Castelli Romani, di adozione del Piano del Parco e di disposizioni delle sue NTA e relative cartografie e vincoli; ciò nell’assunto che il Piano adottato non fosse produttivo di alcun effetto pregiudizievole nei confronti della parte ricorrente in quanto l’applicazione delle misure di salvaguardia previste dalla Legge istitutiva del Parco era indipendente dal provvedimento di adozione.
A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:
1.- Violazione e mancata applicazione degli artt. 144 e 145 del d. lgs. n. 42/2004.
Il Giudice di primo grado ha trascurato la circostanza che, in base alle disposizioni in epigrafe indicate, le previsioni del P.T.P.R. prevalgono sulle previsioni contenute negli atti di pianificazione previsti dalle normative di settore, compresi quelli degli Enti gestori delle aree naturali protette; ciò nell’erronea convinzione che fossero applicabili le norme di salvaguardia risalenti al 1984 in attesa della definitiva approvazione del P.d.A., con irrilevanza di detto contrasto normativo.
2.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 bis e dell’art. 21 quater della l. n. 241/1990, nonché degli artt. 24 e 113 della Costituzione.
La tesi che il PdA adottato non è produttivo di effetti pregiudizievoli, perché l’applicazione delle misure di salvaguardia previste dalla legge istitutiva del Parco è indipendente dal provvedimento di adozione, è erronea ed in contrasto con il diritto di difesa.
Con atto depositato il 29.7.2011 si è costituita in giudizio la Regione Lazio, che ha dedotto la infondatezza del gravame, concludendo per la reiezione.
Con memoria depositata il 10.8.2011 la Regione Lazio ha contestato la fondatezza dei motivi posti a base dell’atto di appello, chiedendo che sia respinto.
Con atto depositato il 27.8.2011 si è costituito in giudizio il Parco dei Castelli Romani.
Con memoria depositata il 27.8.2011 detto Parco ha dedotto la infondatezza dell’appello, concludendo per la reiezione.
Con ordinanza 30 agosto 2011 n. 3752 la Sezione ha accolto la istanza di sospensione della sentenza impugnata ai meri fini della sollecita trattazione del merito.
Con atto notificato l’11.1.2012 e depositato il 13.1.2012 è intervenuta ad opponendum la Associazione Italia Nostra Onlus, che, premesso di avere interesse, in ragione delle sue finalità statutarie, al mancato annullamento della deliberazione impugnata, ha eccepito la inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione del Comune (in quanto, non essendo proprietario delle aree incise dal Piano de quo, fa valere un interesse dei singoli proprietari delle stesse) e per carenza di interesse (sia perché l’applicazione delle misure di salvaguardia è correlata alla perimetrazione adottata con delibera del Commissario ad Acta del 1998, sia perché la perimetrazione poteva essere impugnata solo in parte qua e sia perché dal ricorso di primo grado non si evince quale sia l’area inserita ex novo nel Parco) e ne ha dedotto la infondatezza, concludendo per la reiezione.
Con atto notificato il 16.1.2012 e depositato il 17.1.2012 detta Associazione ha rinnovato una notifica non andata a buon fine.
Con memoria depositata il 24.1.2012 la Regione Lazio, premesso che l’atto di adozione del Piano del Parco dei Castelli Romani non incide su aree precedentemente non comprese nel perimetro del Parco, ha ribadito tesi e richieste.
Con memoria depositata il 24.1.2012 il Parco dei Castelli Romani ha ribadito tesi e richieste.
Con memoria depositata il 3.2.2012 la Regine Lazio ha replicato alle avverse argomentazioni ed ha ribadito tesi e richieste.
Alla pubblica udienza del 24.2.2012 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.

DIRITTO

1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta di riforma, formulata dal Comune di Marino, della sentenza del T.A.R. in epigrafe specificata, con la quale è stato dichiarato inammissibile per carenza di interesse il ricorso proposto per l’annullamento della deliberazione del Consiglio Direttivo del Parco Regionale dei Castelli Romani di adozione del Piano del Parco e di disposizioni delle sue N.T.A. e relative cartografie e vincoli .
2.- Innanzi tutto la Sezione ritiene ammissibile, ai sensi dell’art. 97 del c.p.a., l’atto di intervento in giudizio, ad opponendum, della Associazione Italia Nostra Onlus, perché titolare di interesse qualificato, in ragione delle sue finalità statutarie.
3.- Con il primo motivo di appello è stato dedotto che il Giudice di primo grado ha trascurato la circostanza che, in base alle disposizioni in epigrafe indicate, le previsioni del P.T.P.R. prevalgono sulle previsioni contenute negli atti di pianificazione previsti dalle normative di settore, compresi quelli degli Enti gestori delle aree naturali protette, erroneamente ritenendo applicabili le norme di salvaguardia risalenti al 1984 in attesa della definitiva approvazione del P.d.A., con irrilevanza di detto contrasto normativo.
Ma l’oggettiva successione di previsioni di piano toccherebbe rapporti non solo tra norme sostanziali ma anche tra le relative norme di salvaguardia, perché comunque quelle da applicarsi, per espressa previsione dell’art. 144 del d. lgs. n. 42/2004, sarebbero state quelle, prevalenti ex art. 145 di detto d. lgs., del P.T.P.R..
Inoltre, con l’entrata in vigore della legge costituzionale n. 37/2001, di revisione del Titolo V della seconda parte della Costituzione, è stata attribuita in via esclusiva allo Stato la materia della tutela dell’ambiente e dell’ecositema, sicché alle Regioni spetterebbero le funzioni amministrative di tutela dell’ambiente solo se attribuite dallo Stato.

Sarebbe incondivisibile la tesi del T.A.R. che le misure di salvaguardia previste dall’art. 8 della l.r. n. 2/1984 si applicherebbero anche nei confronti dei territori inclusi nel perimetro del Parco in base al provvedimento impugnato e che non sarebbero soggette a decadenza, essendo inapplicabile la decadenza quinquennale, che nel sistema della l.r. n. 29/1997 è prevista solo in relazione al Piano regionale delle aree protette, e non prevedendo l’art. 9, comma 3, lettera b), di detta l.r. n. 29/1997, alcuna decadenza.
La decadenza non è prevista perché l’art. 26 della appena sopra citata l.r. prevede precise scadenze temporali entro le quali arrivare all’adozione del P.d.A.., sicché è ragionevole quanto statuito da detto art. 9, che va letto nel senso che le misure di salvaguardia valgono fino alla entrata in vigore del P.d.A., che deve avvenire entro un arco temporale di alcuni mesi, ai sensi dell’art. 26, commi 2-5, della l.r. 29/1997.
La stessa logica reggerebbe la disciplina delle misure di salvaguardia nell’art. 6, comma 4, della l. n. 394/1991.
In sostanza le norme che prevedono le misure di salvaguardia sarebbero prive di termini di decadenza perché sarebbero le norme sul procedimento di adozione ed approvazione del relativo piano a prevedere tempi di approvazione e relativi poteri sostitutivi.
Pertanto, in mancanza di approvazione nei termini prescritti dalla legge, la delibera di adozione del P.d.A., cioè quella commissariale del 1998, sarebbe priva di ogni effetto giuridico, non essendo stata seguita dalla necessaria approvazione nei termini di legge.
Diversamente opinando dovrebbe ritenersi che il Comune appellante sopporta misure di salvaguardia da ventisette anni.
Con il secondo motivo di gravame è stato dedotto che la tesi che il P.d.A. adottato non è produttivo di effetti pregiudizievoli, perché l’applicazione delle misure di salvaguardia previste dalla legge istitutiva del Parco è indipendente dal provvedimento di adozione, sarebbe erronea ed in contrasto con il diritto di difesa perché nega ogni rilievo al momento in cui si produce e si rende attuale, a seguito dell’adozione di detto Piano, che modifica la configurazione del territorio e non certo per effetto di una norma risalente a ventisette anni prima.
Nel caso di specie la disposta riperimetrazione del territorio del Parco, nella parte coincidente con il territorio del Comune appellante, e la sua riconfigurazione contrastante con le previsioni del PTPR, produrrebbe evidenti effetti lesivi nei confronti del Comune stesso.
Ciò posto, premesso che la fattispecie si colloca in un ambito materiale in cui lo Stato ha competenza legislativa esclusiva e che le censure di costituzionalità mosse nel ricorso introduttivo rimangono ferme, il ricorso andrebbe accolto in quanto la disciplina applicabile sarebbe quella fornita dal PTPR.
3.1.- Osserva la Sezione che il Comune appellante è sicuramente legittimato alla proposizione del ricorso in quanto, pur non essendo proprietario delle aree incise dal Piano de quo, fa valere il proprio interesse alla conservazione delle misure di governo del proprio territorio mediante pianificazione e programmazione già adottate e che sono incise dalla adozione del Piano impugnato.
Va poi evidenziato che con la l.r. n. 2/1984 è stato istituito il Parco suburbano dei Castelli Romani, il cui art. 8 prevedeva norme di salvaguardia da applicare fino alla entrata in vigore del Piano di Assetto, del programma di attuazione e del regolamento di cui all’art. 9 della l.r. n. 46/1977.
Il T.A.R. ha ritenuto che l’adozione del perimetro definitivo ai sensi dell’art. 6 della l.r.L. n. 2/1984 dal Commissario ad acta, con deliberazione n. 1/1998, abbia prodotto l'effetto di rendere applicabili alle nuove aree, fino all’approvazione regionale, le norme di salvaguardia previste dalla legge istitutiva, nonché che - nel sistema della l. reg. n. 29/97 - la decadenza quinquennale riguardi testualmente il Piano regionale della aree protette, che precede l’istituzione del piano e la relativa perimetrazione provvisoria.
Invece l’art. 9, comma 3, lettera b), della l.r.Lazio. n. 46/1977 rinvia a misure di salvaguardia specifiche a seguito dell’istituzione per legge del piano, facendo riferimento a un’applicazione delle stesse "fino alla data di operatività della disciplina dell'area naturale protetta contenuta nel piano e nel regolamento di cui agli articoli 26 e 27" (cioè fino al piano di assetto con la relativa perimetrazione definitiva), senza prevedere alcuna decadenza.
In presenza della "eadem ratio", è a quest’ultima disposizione che ha ritenuto il T.A.R. si dovesse fare principalmente riferimento quale elemento di comparazione; ciò tenuto conto che anche l’art. 6, comma 4, della Legge quadro sulle aree protette n. 394/91, stabilisce che le misure di salvaguardia ivi previste operano sino all'approvazione del regolamento del parco.
Ma, osserva il Collegio, deve ritenersi che il generale principio della temporaneità delle misure di salvaguardia, aventi natura eccezionale e derogatoria, e della ragionevole durata del loro termine di efficacia, vincoli le Amministrazioni in generale ed anche le Regioni (Consiglio Stato, sez. IV, 19 dicembre 2007, n. 6548), al fine di evitare un incontrollato trascinamento in avanti della durata delle suddette misure impeditive, onde scongiurare il rischio che all'effetto tipico, di natura meramente cautelare, si sovrapponga quello improprio di una permanente compressione del diritto di proprietà, anche con riferimento ai pur tutelati valori ambientali. Tanto rende impossibile che, nel caso che occupa, le misure di salvaguardia adottate nell’anno 1984 potessero essere ritenute ancora legittimamente operanti all’epoca di adozione della deliberazione n. 23 del 2009 impugnata.
Deve quindi escludersi che, come erroneamente ritenuto dal Giudice di prime cure, il Piano di assetto adottato non fosse produttivo di alcun effetto pregiudizievole nei confronti del Comune ricorrente, in quanto l’applicazione delle misure di salvaguardia previste dalla Legge istitutiva del Parco, ancora efficaci all’atto della adozione del provvedimento impugnato, era indipendente da questo.
Conseguentemente la sentenza impugnata va riformata sul punto e deve escludersi che il ricorso di primo grado fosse inammissibile per carenza di interesse in mancanza di effetto lesivo in capo al ricorrente.
3.2.- Le pregresse considerazioni, per il carattere devolutivo dell'appello, comportano la necessità di riesaminare il “thema decidendum” sostanziale del giudizio di primo grado, dovendo ogni aspetto non trattato nel grado inferiore essere esaminato in quello superiore (Consiglio Stato, sez. V, 04 gennaio 2011, n. 8).
Osserva la Sezione che l’art. 145, comma 3, del d. lgs. n. 42/2004, come modificato dall’art. 15 del d.lgs. n. 157/2006 e dall'articolo 2, comma 1, lettera r) del d.lgs. n. 63/2008, stabilisce che “Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione, ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette”.
La prevalenza è quindi attinente solo agli aspetti delle altre disposizioni prima indicate relativi alla mera tutela del paesaggio.
In relazione ai Piani dei Parchi, che tutelano un sistema di valori complesso, identificato, in base all’art. 12, comma 1, della l. n. 394/1991, come modificato dall'art. 2, della l. n. 426/1998, nella “tutela dei valori naturali ed ambientali nonché storici, culturali, antropologici, tradizionali”, detta prevalenza è da ritenersi quindi relativa solo agli aspetti paesaggistici, sicché ben può affermarsi che la disciplina più restrittiva rispetto al Piano paesaggistico stabilita per determinate aree sia volta a tutelare quegli ulteriori valori che il Piano dei Parchi pure tutela e non violi quindi il principio di prevalenza sopra evidenziato.
Dette conclusioni non sono peraltro smentite dall’invocato art. 1 della l.r. Lazio n. 5/2009, che ha sostituito il comma 6 dell'articolo 26 della l.r. n. 29/1997 nel senso che “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), il piano dell'area naturale protetta ha valore di piano urbanistico e sostituisce i piani territoriali o urbanistici di qualsiasi livello. Il piano ha effetto di dichiarazione di pubblica utilità per gli interventi in esso previsti."; ciò in quanto l’abrogazione del riferimento al valore anche di “piano paesistico” del Piano dell’area protetta non può avere altro significato che quello di confermare i diversi ambiti di operatività dei due Piani in questione.
4.- In conclusione, in parziale riforma della impugnata sentenza, il ricorso introduttivo del giudizio va respinto.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso originario proposto dinanzi al T.A.R..
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2012
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