LA RESPONSABILITA' CIVILE DELL'ISTRUTTORE DEL CAI
di Giovanni Fichera

Articolo tratto da Speleo Etna n.1 anno 27 giugno 2009

Conseguire il titolo di Istruttore all’interno del Club Alpino Italiano costituisce il punto di arrivo di un percorso di crescita, fatto di sacri-ficio ed impegno pluriennale, all’interno delle strutture didatti-che del CAI.
L’attribuzione del titolo, motivo di orgoglio per chi lo consegue, comporta gravosi oneri di cui spesso si minimizza la rilevanza.
Occorre innanzitutto dire che l’Istruttore del CAI non è un pro-fessionista e non può ricevere alcuna retribuzione per l’opera svolta; egli è un socio del CAI e la sua qualifica ha rilevanza solo al suo interno, ove svolge attività offrendo agli altri consoci un programma di corsi ed esercitazioni attinenti con gli scopi del sodalizio.
Essere Istruttore implica però l’instaurarsi di un differente rapporto con i soggetti ai quali ci si accompagna nelle attività in montagna. La presenza di un Istruttore è motivo di affidamento per coloro che partecipano alla uscita-escursione, egli viene considerato il più esperto, colui al quale affidarsi nelle scelte da adottare.
Questa capacità d’indirizzo è strettamente connessa alle responsabilità che derivano da eventuali scelte errate, scelte che possono essere causa di danni alle persone che si accompagnano all’Istruttore.
Entro i confini appena tracciati, il comportamento giuridicamente rilevante dell’Istruttore CAI può dar luogo a due tipi di responsabilità: Civile e Penale.
In ordine alla responsabilità civile, si evidenzia che l’Istruttore del CAI non ha con l’allievo un rapporto contrattuale ma associativo.
L’allievo si rivolge al sodalizio che gli mette a disposizione una compagine di Istruttori ma non stipula alcun contratto.
Non essendoci contratto non è possibile individu-are alcun tipo di responsabilità contrattuale.
Il rapporto che lega l’Istruttore all’allievo è tuttavia soggetto a delle norme, quelle che regolano la responsabilità da fatto illecito, derivante da un’azione colposa o dolosa. Escludendo quest’ultimo caso dall’ambito trattato, restringiamo la nostra attenzione sulle azioni colpose.
L’istruttore svolge un preciso compito a carattere tecnico e nell’adempimento dell’incarico può incorrere in un fatto da cui scaturisce una responsabilità colposa, cioè priva di volontarietà ma pur sempre causa di danni. Nella responsabilità da fatto illecito, il danneggiato ha l’onere di provare che l’evento dannoso si è verificato a causa del comportamento dell’Istruttore. Solo se i fatti dedotti dal danneggiato si dimostreranno veritieri e concordanti, il giudice adito potrà procedere ad un addebito di colpa all’Istruttore; in tal caso il danno può essere oggetto di un risarcimento di tipo economico. Tale richiesta di risarcimento può essere avanzata sia nei confronti dell’Istruttore che nei confronti del CAI.
Per quanto concerne invece la responsabilità penale, questa si configura in caso di violazione delle norme che il legislatore ha qualificato come reati. A differenza della responsabilità civile, la responsabilità penale è strettamente personale e riguarda solo l’Istruttore. Se l’istruttore compie un reato lo Stato sanzionerà questa sua azione, od omissione, con una pena. La pena può variare tra il pagamento di una multa e la privazione della libertà personale tramite arresto o reclusione.

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