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Il quesito sulla proprietà delle grotte e la loro tutela

(Roberto Barocchi)
Pubblicato sul n. 46 di “Progressione “ – anno 2002
Premessa

Tra i tanti problemi che da sempre hanno interessato la speleologia, uno di non secondaria importanza è: cosa sono le grotte da un punto di vista giuridico? A chi appartengono? Ho il diritto di esplorare? Per fare la disperazione degli speleologi, sembra che l’oggetto delle loro ricerche, ossia le “grotte”, non esistano proprio in quanto “oggetto”. Questi spazi vuoti nelle rocce per lo più calcaree ma anche gessose e dolomitiche, sono pieni d’aria o di acqua, per cui tali “cavità naturali” non risulta che si possono accatastare in quanto sono sotterranee, sono cioè delle “realtà inesistenti” agli effetti giuridici.
Il catasto delle proprietà immobiliari (terreni) è essenzialmente di ”superficie” ciò che sta al di sotto appartiene al proprietario della corrispondente porzione di terreno superficiale, fatta eccezione per eventuali ritrovamenti di tesori, oggetti appartenenti all’archeologia, alla paleontologia (resti fossili), concentrazioni di minerali, gas naturali, petroli e derivati, che appartengono allo Stato. Per quanto riguarda le acque sotterranee, la Legge 5 gennaio 1994 n. 36 “Disposizioni in materia di risorse idriche”, al Capo I, Art. 1, comma l,recita: Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorchè non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salva guardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà”. Si parla sempre di “contenuti”, ossia dell’acqua e mai del contenitore; nel caso delle aree carsiche i naturali serbatoi delle acque ipogee sono quei vuoti che la pratica speleologica ha variamente definito: cavità, grotta, caverna, galleria, cunicolo, duomo, sala, salone, ecc. e ciò, limitando la considerazione alle sole cavità orizzontali.
Ritornando al problema “cosa sono le grotte” e soprattutto di chi ne è la proprietà, appare di conseguenza che il quesito possa avere una semplice risposta: Le grotte o cavità naturali in realtà sono dei “vuoti” all’interno di una massa rocciosa e pertanto fanno parte integrante del sottosuolo in quelle località ove detto fenomeno, per lo più carsico, si è sviluppato. Non possono pertanto rappresentare un problema di proprietà particolare, diversa da quella della superficie. Altro discorso è se queste cavità naturali al loro interno hanno dei contenuti, come abbiamo visto più sopra, minerari, archeologici, idrologici, ecc. nel qual caso per le diverse leggi che si occupano di queste materie, interessa il “contenuto” del sottosuolo, che costituisce il “patrimonio” da conservare o da sfruttare, ma non il “contenitore”.
Diverso è il caso se invece il “vuoto carsico” ha dei contenuti di singolarità naturale, di rarità geologica, ecc., in questo caso evidentemente si tratta del contenitore, ossia delle grotte in quanto sede genetica di queste particolari singolarità e/o bellezze naturali.
Nel 1974 tale quesito sull’esistenza e sulla proprietà delle grotte, veniva posto dalla Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie di Cagliari, al Ministero della Pubblica Istruzione, con la seguente richiesta: In Sardegna esistono numerosissime grotte naturali in conseguenza di fenomeni carsici verificatesi in alcuni sistemi calcarei. Tali grotte, di cui ne sono state scoperte, rilevate e studiate da vari gruppi speleologici circa un migliaio, presentano cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica per la presenza di particolari concrezioni, come stalattiti, stalagmiti, colonne, roselline di grotta, eccentriche, ecc.
Il particolare interesse estetico di tali grotte è strettamente subordinato alla regimazione delle acque superficiali e sotterranee che determinano la nascita e lo sviluppo delle varie concrezioni, lo sviluppo della flora e della fauna ipogea, in una parola della vita stessa del fenomeno carsico.
L’equilibrio delle varie componenti rappresenta la vita della grotta. La modifica di tale equilibrio per interventi esterni è la morte della grotta. La vita biologica è la prima a scomparire, seguita piano piano dal decadimento delle concrezioni rappresentato dalla fossilizzazione e polverizzazione delle stesse.
Tutto questo porta prima ad un’alterazione e poi alla perdita dei valori estetici e naturali e di singolarità geologica del complesso speleologico. Inoltre non è infrequente il caso di ritrovamenti archeologici in alcune grotte, indice di antropizzazione o di utilizzazione a carattere sacrale delle stesse.
Come si vede, si impone la necessità di tutelare ai sensi della Legge 29 giugno 1939 n. 1497 – Protezione delle bellezze naturali – in cui all’Art. 1, comma 1, che recita: “le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica”.Sorge tuttavia il problema di notificare ai proprietari ai sensi dell’art 6 della stessa legge (omissis – la notificazione in via amministrativa della dichiarazione del notevole interesse pubblico ai proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, degli immobili).
Infatti, poiché tali beni non risultano accatastati in quanto sotterranei, si domanda chi siano i proprietari.
1) i proprietari dell’imboccatura della grotta? – Il problema si complica nel caso che la grotta abbia più di una imboccatura; anche perché spesso alcune imboccature vengono scoperte in epoche successive;
2) i proprietari dei terreni che ricadono nella proiezione superficiale del perimetro della grotta? Il problema si complica perché spesso le grotte vengono esplorate e rilevate in periodi successivi (nota: vi sono dei casi che da un semplice forellino, l’esploratore è gradualmente passato a cavità di molti chilometri di lunghezza e con uno sviluppo di pianta molto articolato, posto anche su piani diversi. La proiezione dello sviluppo in superficie, può così oltrepassare diversi confini comunali ed in alcuni casi anche provinciali o regionali. Nel caso del Carso Tniestino vi sono dei casi di cavità che passano il confine di Stato);
3) il demanio pubblico? (dello Stato o della Regione o del Comune), soprattutto in considerazione del fatto che le grotte si sviluppano spesso a grande profondità anche più di 100 m nel sottosuolo (nota: visione molto ottimistica, poiché le grotte possono svilupparsi ben oltre i 1000 m nel sottosuolo). In questo caso la disciplina che regola la proprietà del sottosuolo speleologico potrebbe essere assimilata a quella che regola il sottosuolo archeologico (nota: vi è però una sostanziale differenza tra contenuto occasionale – reperto archeologico – e la grotta che rappresenta il contenitore anche delle sue stesse bellezze naturali, da valutare però caso per caso, poiché in base alla citata legge 1497/ 1939 non si possono tutelare tutte le grotte ma soltanto quelle che hanno “cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica”).
Ciò premesso, poiché questa Soprintendenza intende intraprendere una campagna di tutela di tali bellezze naturali sottoponendole a vincolo ai sensi della legge n. 1497, anche per tentare di porre un argine alla recrudescenza del fenomeno dei’ “tagliatori”, autentici devastatori di grotte, che staccano le concrezioni di onice, di aragonite, di calcite a fini speculativi, si pone a codesto Ministero il presente quesito sulla definizione della proprietà del sottosuolo speleologico.
Il Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, nel 1980 inviava una lettera ai Soprintendenti per i B.A.A.A.S. di tutta l’italia, del seguente tenore:
Si trasmette, per opportuna conoscenza e norma, copia della nota n. 13411 del 04.07.19 79, con la quale l’Avvocatura Generale dello Stato ha dato risposta ad alcuni quesiti in materia di tutela delle grotte naturali a norma della legge 29.06.1939, n. 1497 sulla protezione delle bellezze naturali e panoramiche.
(omissis) Il “testo” della lettera inviata dall’Avvocatura del 1979, è qui ripreso integralmente:
La Soprintendenza per i beni ambien¬tali, architettonici, artistici e storici di Cagliari, intendendo sotto porre a vincolo ai sensi dell’art. 1 n. 1 Legge 29-6-1939, n. 1497 le numerose grotte naturali esistenti in Sardegna, onde porre un argine al fe¬nomeno dei’ “tagliatori”, esterna alcune perplessità sul modus procedendi e chiede, in particolare, ai fini della notificazione prevista dallo art. 6 della citata legge, se per “proprietario” debba intendersi:
a) colui nella cui proprietà è ricompresa l’imboccatura della grotta (osservando peraltro che le grotte hanno in genere più di una imboccatura, spesso scoperte in epoche successive);
b) colui la cui proprietà sia ricompresa nella proiezione superficiaria del perimetro della grotta (osservando peraltro che le grotte vengono esplorate e rilevate in periodi successivi);
c) il demanio pubblico (dello Stato, della Regione o del Comune) tenuto conto del fatto che le grotte si sviluppano spesso a grande profondità.
Rileva al riguardo la scrivente che il problema non si pone tanto in termini teorici, di definizione della proprietà del sottosuolo speleologico, quanto in termini pratici di individuazione del soggetto cui, attraverso la notificazione dell’atto di vincolo, viene imposto (in ragione della concreta disponibilità che egli ha dello immobile) un onere di conservazione e tutela preordinato alla salvaguardia degli interessi pubblicistici riconnessi al mantenimento della situazione attuale.
Pertanto, considerato che la dichiarazione di notevole interesse pubblico viene notificata “ai proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, degli immobili” (art. 6 citato), sembra che il problema proposto possa trovare soluzione nel senso:
I) che la notifica debba eseguirsi nei confronti tanto di coloro che risultano essere i proprietari dei terreni nei quali si aprono le imboccature delle grotte quanto di coloro che possiedono o detengono, a qualsiasi titolo, i terreni medesimi.
Avuto riguardo alla possibilità che la caverna (leggi: grotta) si sviluppi sotto terreni di aliena proprietà (sia ab origine sia per sopravvenuti frazionamenti della proprietà del suolo soprastante) e considerato che pur in tal caso essa risulterebbe praticabile nell’intero sviluppo dagli stessi soggetti nella cui disponibilità si trovano i terreni ricomprendenti gli accessi (e quindi gli accessi medesimi), sembra opportuno precisare espressamente, nell'approvazione di cui all’art. 11 R.D. 3-6-1940 n. 1357, che essa riguarda l’intera caverna (leggi: grotta) nella sua unità ed in tutto il suo sviluppo, e che le conseguenti limitazioni si estendono a tutte le attività praticabili nel suo interno a qualsiasi livello (leggi: profondità) ed a qualsiasi distanza degli accessi rilevati;
Il) che in caso di successiva scoperta di altre imboccature – rectius di altre ramificazioni della grotta aventi accessi autonomi – debba operarsi una nuova dichiarazione di interesse pubblico limitata alla nuova scoperta – considerato come “cosa” a sè stante ancorchè collegata ad altra cosa precedentemente nota e vincolata – da notificare ai proprietari, possessori o detentori dei soli terreni nei quali ricadono i nuovi accessi ritrovati (siano essi o meno i medesimi destinatari della notificazione del precedente vincolo).
Com’è ovvio anche tale ulteriore dichiarazione dovrà recare le precisazioni sopra accennate.
Sembra infine, per quanto concerne l’eventualità che la grotta si sviluppi in profondità sotto terreni nella disponibilità di soggetti diversi da quelli destinatari della notifica, che la circostanza non abbia alcun rilievo ai fini delle attività di esplorazione e di ricerca, tenuto conto del disposto dell’art. 840 comma secondo c.c., secondo il quale il proprietario del suolo (e quindi il possessore o detentore) non può opporsi ad attività di terzi che si svolgono a tale profondità nel sottosuolo che egli non abbia interesse ad escluderle (la profondità cui può ritenersi insussistente l’accennato interesse deve intendersi come valore relativo, variabile con le caratteristiche geologiche dell’immobile; il fatto stesso della sussistenza della grotta sembrerebbe del resto poter costituire un limite a determinate possibilità di utilizzazioni del sottosuolo).
Ritornando ora alle forme di “tutela passiva” applicabile ai fenomeni geomorfologici e quindi alle grotte, prevista con la legge 29 giugno 1939 n. 1497, appare evidente che non si possono egualmente tutelare tutte le grotte, ma solamente quelle dotate di cospicua bellezza o costituente singolarità geologica. La così detta “Legge Galasso”, 8 agosto 1985 n. 431 che ha assoggettato a vincolo paesaggistico (e quindi di superficie onnicomprensiva) diverse categorie di beni, ma non lo ha fatto per “fenomeni geomorfologici”, risulta quindi evidente che le “grotte” possono essere considerate oggetto di tutela, nelle forme sopraindicate dall’Avvocatura Generale dello Stato, seguendo la procedura prevista negli articoli da 2 a 7 della L. 1497/1939.
La Legge della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, 1 settembre 1966 n. 27, a sua volta richiama invece nel titolo una “tutela paesaggistica”: Norme di integrazione della legge statale 29 giugno 1939 n. 1497, per la tutela del patrimonio speleologico della Regione Friuli-Venezia Giulia, in cui all’articolo 1, punto a), autorizza l’Ente Regione: ad emanare nel quadro della disciplina normativa (omissis) i provvedimenti conservativi urgenti, diretti ad evitare la distruzione, l’ostruzione, il danneggiamento, il deterioramento ed il deturpamento delle cavità naturali della Regione. E questo un passo molto importante poiché con tale legge regionale implicitamente viene riconosciuto un “problema generale di tutela delle cavità”. Appena nel 1993 venne proposto un primo elenco di 271 cavità di questa Regione, particolarmente meritevoli di venire tutelate con un provvedimento di vincolo paesaggistico, così suddivise: 144 nelle province di Trieste e Gorizia 127 nelle province di Udine e Pordenone.
Considerati i tempi molto lunghi per effettuare tutte le ricerche catastali ed i rilievi in natura, la Commissione Regionale Consultiva per i Beni Ambientali nel 1995, aveva nel frattempo espresso parere favorevole per l’avvio di queste procedure, per le prime 32 cavità facenti tutte parte del Carso Tniestino, a causa di evidenti caratteri di urgenza dovuti ai piani urbanistici, grande viabilità, che avrebbero perfino condizionato l’esistenza di alcune di queste cavità. Nel 1995 furono infatti avviati gli “avvisi di tutela” ai vari soggetti e subito dopo furono emessi i relativi “decreti” .
Questa – prima “operazione per la tutela delle grotte” – fu una buona vittoria per la speleologia della Regione Friuli-Venezia Giulia, estensibile del resto anche alle altre Regioni italiane, basta applicare la legge! Si è ottenuto così la possibilità di evitare la distruzione, il danneggiamento, il deterioramento ed il deturpamento almeno delle più importanti e significative grotte, e ciò indipendentemente dal fatto se le cavità si aprono in aree già protette da altri provvedimenti di tutela, oppure in aree completamente prive di qualsiasi possibilità di salvaguardia. Questi casi di non tutela specifica, si sono potuti verificare a causa di uno scarso interesse, o meglio di carente conoscenza ambientalistica, il più delle volte determinato dai proponenti di leggi di tutela nazionali o regionali, poiché veniva di solito, da loro considerata la sola componente vegetazionale. Venne scritto da Roberto Barocchi (1996), in occasione dei trent’anni della Legge Regionale 1 settembre 1966, n. 27 (Norme di integrazione della legge statale 29 giugno 1939, n. 1497, per la tutela del patrimonio speleologico della Regione Friuli-Venezia Giulia): …Del regno vegetale e ancor più del regno animale il pubblico ha qualche conoscenza, grazie anche ai documentari televisivi e alla vasta letteratura divulgativa. Del regno minerale, e in particolare dei fenomeni geomorfologici, l’uomo della strada conosce poco.
È stato anche più volte affermato che i “paesaggi carsici” (nota espressione geografica), con tutta quella ricca gamma di fenomenologie geomorfologiche che li caratterizza, hanno un grande interesse scientifico, culturale, ma anche estetico-paesaggistico e, a differenza di tutte le altre specie vegetali ed animali, una volta distrutti . . .non sono dei beni rinnovabili e quindi dovrebbero essere soggetti ad un tutela molto particolare, sopra e sottoterra.

Come tutelare le grotte?

Che le grotte, in quanto fenomeni naturali, dovrebbero essere tutelate, lo sappiamo. Ma come?

Cosa tutelare?

Le cose di interesse speleologico da sottoporre a tutela si possono distinguere in quattro categorie principali:
1) le grotte di particolare importanza, caratterizzate da vastità di sviluppo, bellezza degli ambienti e delle concrezioni, valore storico o paleontologico o paletnologico; propongo di chiamarle speleotòpi, in analogia ai biotopi e ai geotopi, per indicare che sono fenomeni eccezionali; queste cavità andrebbero sottoposte a una tutela stretta, essendo prevalente l’interesse pubblico alla loro conservazione rispetto ad altri interessi pubblici o economici; ad esempio, per tutelare uno speleotopo si dovrebbe vietare una cava che altrimenti lo distruggerebbe e si dovrebbe modificare il tracciato di una strada in galleria che ci passasse in mezzo;
2) le grotte in generale, che potremmo chiamare speleotipi; è opportuno tutelarle, così come si tutelano la flora e la fauna anche fuori dei parchi naturali, ma possono essere sacrificate qualora prevalga un interesse pubblico o economico non ragionevolmente soddisfacibile in altro modo; uno speleotipo può anche essere sacrificato per una cava o la costruzione di una strada se il salvarlo comportasse costi sproporzionati al valore intrinseco del bene;
3) i sistemi idrografici carsici, comprese anche le cavità non esplorabili o non ancora esplorate;
4) le aree carsiche, come insieme di fenomeni geomorfologici epigei e ipogei.
(Fabio Forti) Gli speleotopi si possono suddividere in:
a) speleotopi assoluti che, per la loro bellezza e particolarità, dovrebbero essere visitabili solo da speleologi e in particolare a fini scientifici, essendo altrimenti soggetti a un rapido degrado; ad esempio, la grotta Gualtiero nel Carso triestino, o almeno alcune sue parti più delicate;
b) speleotopi visitabili, che potrebbero essere oggetto di visite da parte di speleologi e anche da parte di non esperti accompagnati da guide speleologiche; ad esempio il Buso de la Rana in Veneto o il Corchia in Toscana
c) speleotopi turistici che, o perché già attrezzati come grotte turistiche, o perché attrezzabili senza troppi danni, possono ricevere grandi masse di visitatori, pur essendo preservati da altre alterazioni.
Gli speleotipi si possono sommariamente suddividere in:
– speleotipi rilevanti: cavità che comunque hanno per estensione e per bellezza di ambienti un buon valore speleologico e andrebbero per quanto possibile preservate;
– speleotipi comuni: cavità di scarse dimensioni e particolarità, che possono anche essere distrutte, se prevale un interesse economico a farlo, ma dopo essere state rilevate in modo da mantenere la conoscenza di quello che c’era in un certo luogo.
I sistemi carsici e le aree carsiche andrebbero sottoposti a una tutela generalizzata che ne impedisca la distruzione, salvo le non rilevanti trasformazioni che fossero di interesse pubblico preminente. In ogni caso si dovrebbero prendere tutti i possibili accorgimenti per limitare le trasformazioni di tali complessi e aree.

Da cosa tutelare

I pericoli principali sono:
• le trasformazioni del territorio: edificazione, cave e miniere, infrastrutture;
• l’abbandono di rifiuti, sia quelli lasciati dai visitatori, sia soprattutto quelli gettati nelle grotte che vengono usate come pattumiere;
• l’inquinamento idrico, usando talvolta le grotte come scarichi fognari;
• i danneggiamenti, in particolare l’asporto di concrezioni.

I mezzi per la tutela

Sono tre le possibili forme di tutela di un bene naturale:
• la tutela passiva si attua con vincoli, cioè con norme che pongono divieti o subordinano un’azione all’ottenimento di un’autorizzazione; sono tali ad esempio il vincolo paesaggistico, il vincolo idrogeologico, norme di legge che vietano o limitano la raccolta di piante o animali o regolamentano la caccia o la raccolta di funghi;
• la tutela attiva consiste nel fare qualcosa in favore de bene tutelato; sono forme di TA i parchi naturali, in quanto vi è un ente di gestione che non si limita a controllare e vietare, ma fa anche opere di miglioramento e provvede alla fruizione del bene; sono tali anche la selvicoltura naturalistica, le sistemazioni idraulico forestali (purché condotte con criteri naturalistici), le opere di manutenzione in genere; lo è anche lo studio e l’esplorazione delle grotte, in quanto consente di aumentare la conoscenza che noi abbiamo dei fenomeni ipogei; insomma, noi speleologi siamo dei tutelatori attivi;
• la tutela mediata si fa con gli strumenti urbanistici, cioè con i piani regolatori comunali, con i piani territoriali regionali (quando ci sono), eccetera; è mediata perché contiene non solo divieti, ma anche indicazioni in positivo di ciò che si può fare e come lo si deve fare; gli strumenti urbanistici sarebbero un potente mezzo di tutela dell’ambiente, se fatti bene, perché agiscono in via preventiva; ad esempio, destinando una certa area a parco naturale si prevengono quelle trasformazioni, quali l’edificazione, che distruggerebbero il bene.

La tutela passiva

Non esistono leggi nazionali specifiche per la tutela delle grotte. Il DLgs 490/ 1999 indica all’art. 139 fra i beni che possono con atto amministrativo essere sottoposti a vincolo paesaggistico le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica. Ne consegue che le grotte, almeno le più rilevanti, possono essere tutelate sotto il profilo paesaggistico.
A questa disposizione, già contenuta con uguale testo nell’art. i della L 1497/ 1939, si richiama l’art. 1, lettera a) della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia n. 27/1967, che autorizza la Regione a emanare, nel quadro della disciplina normativa, di cui alla legge statale 29 giugno 1939, n. 1497 e con il rispetto delle attri¬buzioni dell’autorità militare, i pro vvedimenti conservativi urgenti, diretti ad evitare la distruzione, l’ostruzione, il danneggiamento, il deterioramento e il deturpamento delle cavità naturali della Regione .
Non sono a conoscenza di leggi che in altre regioni tutelano le grotte, salvo la legge della Regione Lazio. In ogni caso si può sempre invocare la legge dello Stato. Il problema è che per ogni cavità occorre emettere un decreto di vincolo con un iter laborioso.
La L 431/1985, detta legge Galasso, ora ricompresa nel DLgs 490/1999, ha ampliato le categorie vincolabili già previste dalla L 1497, elencando varie tipologie già sottoposte a vincolo opelegis, quali le montagne, i fiumi e laghi, le coste, i boschi, i ghiacciai, i siti archeologici e persino le aree soggette a usi civici e le università agrarie, ma non i fenomeni geomorfologicì, epigei o ipogei che siano.
Le grotte non sono quindi tutelate automaticamente sotto il profilo paesaggistico, ma vanno vincolate.

La tutela attiva

A parte le forme di tutela attiva che noi pratichiamo esplorando, rilevando, catastando le cavità ipogee, si possono fare ancora le seguenti cose:
— divulgare l’amore e il rispetto per i fenomeni geomorfologici anche con campagne di informazione;
— favorire le visite guidate di grotte non turistiche con l’istituzione di guide speleologiche
— sorvegliare le costruzioni di edifici e infrastrutture e intervenire per convincere le Autorità e le imprese a salvare il salvabile;
— sensibilizzare l’opinione pubblica e le autorità affinché chi di dovere controlli e persegua le discariche abusive e l’abbandono di rifiuti in aree carsiche;
— segnalare alle autorità di polizia, affinché procedano ai sensi degli artt. 14 e 50 del DLgs 25 febbraio 1997 n. 22, chi abbiano trovato a gettare immondizie (in questo caso è bene fotografare il colpevole nell’atto dell’abbandono e prendere nota del numero di targa);
— darne segnalazione all’Autorità giudiziaria affinché valuti se vi siano gli estremi di reato di cui all’art. 734 del Codice Penale (distruzione o deturpazione di bellezze naturali) quando una discarica o una costruzione o altro abbia distrutto una grotta;
— portare alle autorità di polizia, perché facciano indagini, eventuali rifiuti da cui si possa risalire al proprietario (ad esempio riviste inviate in abbonamento con l’indirizzo di chi le ha ricevute, lettere e cartoline, targhe di mezzi a motore);
— sensibilizzare i componenti, soprattutto ambientalisti delle commissioni edilizie comunali e dei comitati tecnici regionali, affinché condizionino l’approvazione di progetti di opere in aree carsiche alla presentazione di una perizia speleologica e prescrivano che:
• il ritrovamento di cavità sia segnalato al Catasto regionale delle grotte affinché invii degli speleologi a rilevare le cavità;
• in caso di ritrovamento di speleotopi o di speleotipi rilevanti il direttore dei lavori faccia in modo di preservarle per quanto possibile e di renderle accessibili anche a lavori finiti (eventualmente ponendo in opera una botola);
• quando si esaminano progetti rilevanti (strade, cave, ecc.) sia chiesto al catasto regionale delle grotte o al gruppo speleologico locale di nominare una commissione speleologica che segua i lavori per individuare eventuali cavità che potrebbero sfuggire al direttore dei lavori o all’impresa.

La tutela mediata

Un potente strumento di tutela, che possiamo definire tutela mediata, sono gli strumenti urbanistici. Questi possono aiutare a preservare le cavità e i fenomeni geomorfologici in genere nei seguenti modi:
– mediante la zonizzazione, localizzando ove possibile le zone soggette a trasformazione come le zone residenziali, produttive e per attrezzature in aree non interessate da fenomeni geomorfologici rilevanti; va da sé che ciò non sempre è possibile: in un Comune completamente carsico si dovrà consentire di costruire da qualche parte; ma almeno si curerà che le cavità più importanti conosciute non ricadano in zone edificabili;
– mediante norme che prescrivano il mantenimento per quanto possibile di cavità in zone edificabili;
– mediante norme che vietino Io scarico diretto dei reflui nelle cavità e su bordinino l’ottenimento della concessione edilizia alla possibilità di allacciamento a una fognatura comune, senza possibilità di subirrigazione.

Una legge:

La cosa migliore per tutelare le grotte sarebbero una legge nazionale o, in difetto, delle leggi regionali per assoggettare le aree carsiche a una generale tutela e le cavità e i fenomeni geomorfologici più rilevanti a una tutela più specifica.

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