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l'Icnosito di Esperia

Nel settembre 2006 Maria Grazia Lobba ha scoperto abbondanti impronte di dinosauri a ovest di Esperia, a circa 30 km a sud di Frosinone (Lazio, Italia Centrale). La superficie di strato delle orme appartiene ad una successione calcarea di acque poco profonde ed è stata attribuita all'Aptiano (125-112 milioni di anni fa); ha prodotto circa 80 impronte di dinosauri sia quadrupedi che bipedi.
Negli ultimi anni, in seguito alla scoperta del grande sito di orme di Altamura, una serie di nuove impronte di dinosauri sono state scoperte nell’Italia centrale e meridionale, principalmente nel Lazio meridionale e in Puglia.
Il più alto numero di impronte dei dinosauri nell'Italia centrale e meridionale si estende dal Giurassico superiore al Cretaceo superiore ed è correlato a due diverse unità tettonico-stratigrafiche: le Unità Appenniniche e l'avamposto adriatico della placca Adriatico/Africa.
Questi affioramenti, mostrando diversi gradi di preservazione e icnodiversità, hanno sollevato dubbi sulla maggior parte delle attuali ricostruzioni paleogeografiche della regione centro-mediterranea che non riescono a giustificare del tutto gli esistenti dati paleontologici.
Il sito qui descritto ne fornisce la prima testimonianza, una presenza di dinosauri nel Cretaceo inferiore nella piattaforma carbonatica dell’Appennino(ACP). Le impronte di dinosauro di Esperia appartengono ad un unico livello stratigrafico di una successione della piattaforma carbonatica. Questo articolo descrive le principali caratteristiche dimensionali ed icnologiche delle orme, fornendo un'interpretazione paleoambientale della sezione stratigrafica studiata e delle attribuzioni zoologiche delle impronte.

Inquadramento geografico e geologico

L'icnosito di Esperia è situato tra la Valle Latina a nord e Gaeta (Mar Tirreno) a sud. L'area studiata appartiene agli Aurunci Occidentali che fanno parte della catena dei Volsci. L'unità strutturale dei Volsci è costituita dai Monti Lepini, Ausoni e Aurunci ad eccezione del settore degli Aurunci Orientali (Simbruini-Unità strutturale Ernici) e rappresenta il settore più interno dell'ACP, delimitata ad ovest, nella Piana Pontina o nel Mar Tirreno, da depositi pelagici appartenenti al bacino Umbria-Marche-Sabina, riconosciuto in diversi pozzi (perforazioni dell’Enel ecc.).
La sequenza statigrafica dei Monti Aurunci è composta prevalentemente dalla piattaforma carbonatica del Triassico superiore-Cretaceo superiore, depositi che testimoniano diversi paleoambienti marini (sabkha=terreno paludoso e salato, piana di marea, laguna, piattaforma aperta) che sono punteggiati da paleosuoli legati ad ambienti deposizionali caratterizzati da brevi emersioni, soprattutto nell'Aptiano-Cenomaniano.
Questa successione è tipica di una piattaforma carbonatica e di un ambiente in cui la deposizione carbonatica va di pari passo con le variazioni del suolo (estasia=innalzamento o abbassamento del livello dei mari, cedimento o sollevamento e compattazione dei sedimenti) causando cambiamenti da un ambiente aereo a uno subtidale=sotto il livello di bassa marea, poco profondo.

Stratigrafia ed età

La sezione analizzata, compresa la superficie di appoggio delle impronte, affiora a circa 3 km a ovest di Esperia, lungo la strada da Esperia al Monte Acquara di Costa Dritta, tra il M. San Martino a ovest e M. Lago a est a circa 410 m s.l.m. (41°22'39"N, 13°38'24"E).
La sezione misurata ha uno spessore di poco più di 2 metri ed è interrotta da una faglia normale alla base della sequenza. La successione sedimentaria è composta un bel letto di calcare a strati dal nocciola al marrone chiaro con tessitura variabile dal fango calcareo al calcare granuloso, talvolta disposti in strati più spessi, che si alternano a livelli oolitici subordinati e sottili strati laminati di pietra fangosa. Localmente ci sono abbondanti miliolidi= foraminiferi impeforati e frammenti di conchiglia, così come strutture fenestrali, testimonanze di esposizione subaerea. Lo strato calpestato consiste di grainstone e wackestone= calcari con una percentuale di grani superiore al 10% a tessitura fango-sostenuta, alternati, con sparsi miliolidi rossi e tessuto fenestrale. Appena sopra lo strato calpestato la sezione è caratterizzata da un livello di conglomerato (8 cm) con clasti di mudstone= roccia con grani inferiori al 10% a tessitura fango-sostenuta bianco su scala millimetrica.
La successione di Esperia presenta una facies ciclica, alternata da sottotidale a sopratidale; le facies sabbiose prevalgono su quelle fangose, suggerendo un ambiente di piattaforma esposto alle variazioni di energia delle onde e delle maree.
Le analisi sulle sezioni sottili di campioni raccolti dallo strato dinoturbato, rivelano la presenza di alghe Dasycladaceans (Salpingoporella spp.,? Thaumatoporella spp.),frammenti di rudiste e foraminiferi bentonici, come abbondanti Miliolidae, Nubecularidae (Spiroloculina sp.),Polimorfinidi, Cuneolinidi (Sabaudia briacensis Arnaud-Vanneau 1980, Sabaudia minuta (Hofker 1965), Spiroplectamminidae (Bolivinopsis cf. ammovitrea (Tappan 1940), Hyperamminoididae (?Giraliarella prismatica Arnaud-Vanneau 1980), Bagginidae (Valvulineria Cushman 1926) e Nezzazatidae (Nezzazata sp.).
L'intero microassemblaggio può essere assegnato al periodo Aptiano.

Descrizione delle impronte

L’area analizzata ricopre una superficie di circa 40 mq inclinata di circa 45° W. Le impronte sono orientate in modo casuale e non sono state identificate piste. Le impronte sono mal conservate, sia diageneticamente che a causa della disgregazione tettonica, ostacolando l'attribuzione icnotassonomica. Tuttavia le caratteristiche morfologiche delle impronte (cioè la forma, il numero di dita impresse, l’eteropodia nel riconoscimento delle coppie manus-pes) consentono l'identificazione dei costruttori delle orme. Tutte le impronte possono essere distinte in due diversi gruppi, il primo rappresentato da tracce bipedi tridattili, il secondo da impronte subellittiche e rotonde ascritte a un dinosauro con andatura quadrupede.

Gli icnositi di Esperia sono stati etichettati con l'acronimo ES (Esperia) seguito da un numero identificativo.

Impronte tridattili

Il primo morfotipo è rappresentato da tre piccole impronte tridattile, conservate come iporilievi concavi. Una descrizione morfologica dettagliata delle specie tridattili associata ai principali parametri morfometrici (FL = lunghezza del piede, FW = larghezza del piede, divaricazione totale, angoli interdigitali, te = sporgenza del dito III oltre la linea collegando la punta delle dita II e IV) è riportato di seguito.
In un caso (ES2) la numerazione delle cifre era difficoltosa; per questo l’impronta del piede del dito sinistro viene riportata come “l” e del dito destro come “r” per indicare la loro posizione rispetto al dito III.

ES 1 – Questo campione rappresenta probabilmente la migliore impronta tridattile conservata a Esperia. L’impronta mesassonica = in cui il numero delle dita è dispari ed il dito centrale prevale (FL = 17,9 cm; FW = 12,7 cm) mostra un dito III diritto che supera di molto la lunghezza delle dita laterali. La metà anteriore dell'impronta conserva due chiare impronte di cuscinetto sul dito III e un cuscinetto su ciascun dito laterale.
Sull’impronta non sono visibili segni evidenti di artigli.
Sembra che gli hypices= l'apice dell'angolo formato tra due dita, giacciono allo stesso livello anche in caso di accorciamento delle dita laterali è probabilmente una conseguenza di un bias conservazionistico, che rende incerta la valutazione degli hypices.
Divaricazione totale (II^IV) è 58°, II^III = 21°, III^IV = 37°, te = 7,3 cm, circa 41% rispetto a FL.

ES 2– Il campione impresso debolmente, è un’impronta tridattila mesassonica asimmetrica (FL = 18 cm;LW = 13,2 cm). È meglio conservato anteriormente, svanendo rapidamente posteriormente e impedendo l'identificazione del dito IV.
Sul dito III sono impressi due cuscinetti falangei che terminano con l'impronta di un piccolo e affilato artiglio. Il dito II è leggermente più corto del dito IV che è chiaramente identificabile in quanto forma una sporgenza nel margine posteriore delll’orma.
Il dito IV conserva un'ampia impronta digitata del cuscinetto e deboli segni di artigli. La divaricazione totale (II^IV) è 59°, II^III = 34°, III^IV = 25°, te = 5,38 cm, circa il 30% rispetto a FL.
Tutte le impronte digitali mostrano almeno due impronte evidenti di cuscinetti e probabili tracce di artigli. Divaricazione totale (II^IV)è 48°, r^III = 18°, l^IV = 30°, te = 4,3 cm, circa 24% relativo a FL.

ES 3– L'esemplare è una impronta tridattila; il numero III è nettamente sigmoidale (FL = 17.8 cm; LW = 13,4 cm). Sono impressi due cuscinetti falangei nel dito III che termina con l'impronta di un piccolo e affilato artiglio. Il dito II è leggermente più corto del dito IV che è chiaramente identificabile in quanto forma una sporgenza nel margine posteriore dell’impronta.
Il dito IV conserva un'impronta digitale di grandi dimensioni e deboli segni di artigli. La divaricazione totale (II^IV) è 59°, II^III = 34°,III^IV = 25°, te = 5,38 cm, circa il 30% rispetto a FL.

Osservazioni

Le impronte tridattili di Esperia possono essere paragonate ad altre orme del Cretaceo dell'Italia centrale e meridionale. Il primo confronto è con orme tridattile del primo Aptiano di Lama Paterno (tardo Beduliano-inizio Gargasian; Puglia, Italia meridionale) recentemente rinvenute in depositi di piattaforma carbonatica riferiti alla Piattaforma carbonatica Apula (AP). La lunghezza e la larghezza del piede sono simili (FL = 15-20 cm, FW = 13 cm) per le impronte in entrambe le Regioni.
In generale le dita impresse sono più ampie nelle impronte pugliesi con segni di unghia non ben definiti e dito IV meno impresso e tirato leggermente indietro rispetto alla base delle altre dita. Il dito III nelle orme di Lama Paterno è caratterizzato da una sporgenza più lunga.
Le orme di Esperia differiscono dalle impronte tridattili rinvenute su tre diversi livelli rispetto al sito delle impronte di Sezze (primo Cenomaniano; Lazio, Italia centrale),anch'esso appartenente al dominio della Piattaforma Appenninica. Le orme tridattile del II livello sono leggermente più grandi, la lunghezza del piede varia da un minimo di 15 ad un massimo di 24 cm, asimmetrico e l'impronta IV del dito tirata indietro rispetto alle dita II e III. D'altra parte la sporgenza del dito III è simile a quello osservato nel sito di Esperia. Impronte dello strato più alto (III livello), preservano le andature sia digitigrade che plantigrade; le impronte sono tridattili e in alcuni casi mostrano l'intera impronta metatarsale e la traccia del dito I.
Nel III livello, il dito III estende la linea che collega la punta delle dita II e IV di una quantità maggiore in confronto alle impronte tridattili di Esperia.
È stata trovata una buona corrispondenza con le tracce dei tridattili di Borgo Celano (tardo Hauteriviano-primo Barremiano, Promontorio del Gargano, Puglia, Italia meridionale)dei depositi della Piattaforma carbonatica pugliese. Anche se queste ultime tracce talvolta si allungano posteriormente, conservando l'impronta parziale o totale del metatarso, mostrano alcune somiglianze con gli esemplari attuali che differiscono principalmente per dimensioni assolute, le impronte di Borgo Celano sono più grandi (FL varia da un minimo di 23 cm fino ad un massimo di 35 cm e fino a 56 cm nelle impronte allungate; FW da 23 cm a 36 cm). Tuttavia, i valori di protrusione del dito III (meno della metà della lunghezza del piede) e la posizione del dito IV indicano una stretta somiglianza con ES 1, ES 2 ed ES 3.

Attribuzione ai creatori delle impronte

In base alle caratteristiche sopra descritte, le impronte tridattile provenienti da Esperia potrebbero essere attribuite ad un dinosauro bipede, digitigrado, probabilmente un teropode di piccole dimensioni. L'altezza dei fianchi di questi dinosauri è di 82,5 cm (h = 3,06 x (FL) 1,14; mentre la lunghezza del corpo è di 3,30 m. La massa corporea potrebbe essere stimata in circa 60 kg.

Impronte non tridattili

Il secondo morfotipo è costituito da impronte rotonde ed ellittiche.
Il materiale non tridattilico è ancora meno ben conservato rispetto alle impronte dei teropodi e nessuna caratteristica diagnostica utile per riferire gli esemplari agli ichnotaxa esistenti, è stata osservata. Tuttavia, e nonostante non siano state riconosciute le piste, alcune caratteristiche ne hanno permesso l'attribuzione dei morfotipi a possibili taxa zoologici.
Non vale la pena accertando il verificarsi di due o tre probabili manus-pes situati nella parte destra (sud) del terreno calpestato riconosciuti dalle loro posizioni relative costanti (l’impronta manus davanti o appena laterale all’iimpronta pes). Essi probabilmente sono manus-pes realizzati da un dinosauro quadrupede, con impronte di piede subellittico, allungato posteriormente-anteriormente recintato e una traccia di manus di forma subcircolare. Le impronte pes sono più grandi di quelle manus (indice di eteropodia circa 1/3). Le impronte del piede subellittico sono più lunghe (25-29 cm)di larghezza (16-20 cm). Le impronte del manus sono tanto lunghe quanto larghe (8-13 cm). Anche sullo strato di Esperia sono state notate impronte di dimensioni maggiori (FL circa 40 cm) e di forma irregolare piana, probabilmente causato dalla coalescenza di due o più orme, le cui relazioni sono difficili da discernere.

Attribuzione ai creatori delle orme

Le impronte non tridattili sono probabilmente l'espressione di pes e manus, impresse da un dinosauro con andatura drupedale. La morfologia del piede varia da subellittica a subcircolare, l'impronta manus è sempre subcircolare, in un caso mostra una tacca al centro del margine posteriore.
Sebbene un'analisi icnotassonomica sia ostacolata dalla scarsa conservazione e per la mancanza di piste, la disposizione manus-pes, la forma e l'eteropodia dei plessi suggeriscono fortemente un'attribuzione a sauropodi di medie dimensioni.

Interpretazione paleo-ecologica

Dal punto di vista paleoecologico l'icnosito di Esperia rivela la contemporaneità di teropodi carnivori e sauropodi erbivori.
Sebbene la maggior parte dei teropodi possano essere considerati carnivori, alcuni di loro preferivano una dieta a base di pesce e molluschi in conseguenza della loro vita in prossimità di ambienti con fondali marini poco profondi.
Probabilmente cacciavano i pesci dall'acqua. I sauropodi erano erbivori e brucavano la vegetazione alta.

Implicazione paleogeografiche

L'affioramento di Esperia è il secondo ritrovamento di icnositi nel Lazio e retrodata all’Aptiano la presenza di dinosauri nella Piattaforma carbonatica dell’Appennino(ACP). Ad oggi, in questo dominio paleogeografico sono state riconosciute altre due presenze di dinosauri:le impronte di sauropodi e teropodi provenienti dal sito cenomaniano inferiore di Sezze e Scipionyx samniticus, un teropode completo (Coelurosauro), proveniente da Pietraroia (Benevento, sud-Italia orientale) nella porzione sud-orientale del Monte Matese (Unità strutturale Simbruini-Ernici-Matese. Questo scheletro proviene dal calcare selcifero dell’Albiano inferiore (“Platten-kalk” o “calcari selciferi ed ittiolitiferi di Pietraroia”) depositato in un bacino anossico intrapiattaforma.
Quindi, le impronte dei dinosauri di Esperia sono le più antiche registrate nella piattaforma ACP.

L'affioramento di Esperia è coevo al dino-strato di Bisceglie, relativo alla Piattaforma Carbonatica Apula(AP), dove è stato recentemente ritrovato l’icnoassemblamento italiano più diversificato.
L’affioramento di Biseglie ha restituito impronte di saurischi (piccoli teropodi e sauropodi)e ornitischi (ornitopodi e tireofori) datate al primo intervallo dell’Aptiano (tardo Beduliano-Gargasiano antico).
I domini ACP e AP, appartenenti alle cd Piattaforme carbonatiche periadriatiche, sono stati solitamente considerati topograficamente piattaforme tardive come le attuali Bahama Banks, Maldive e Bermuda, separati da profondi bacini pelagici (Bacino Lagonegro-Molise, depressione di M.Genzana-M.Greco) e ben separati dalla terraferma (sia Gondwana che Laurasia).
I recenti ritrovamenti di tracce e ossa di dinosauri italiani hanno dato origine a nuovi modelli paleogeografici della Tethys occidentale.
Alcune di queste ricostruzioni, supportate anche da dati geologici e geofisici, tracciano collegamenti strutturali e geografici tra le diverse piattaforme periadriatiche.
Recentemente sulla base di studi sedimentologici e stratigrafici è stata confermata l'ipotesi, proposta da altri autori, di un restringimento finale verso nord del bacino Lagonegro-Molise, suggerendo che depositi pelagici riconosciuti nei monti Maiella, Morrone e Genzana (Abruzzo, Italia centrale) corrispondono alle vie marittime intrapiattaforma che solcano il settore Lazio-Abruzzo della piattaforma ACP e la porzione più settentrionale della piattaforma AP.
In questa ricostruzione il settore Lazio-Abruzzo dell'ACP è visto come una serie di banchi (arcipelago) separati tra loro da un sistema irregolare di bacini pelagici, più stretto e probabilmente meno profondo, rispetto ai bacini del nord Toscana- Umbro-Marchigiani e merdionali Lagonegro-Molise.
Il dominio della piattaforma Lazio-Abruzzo è quindi considerato come promontorio della principale costa pugliese che probabilmente agiva come barriera tra l'area settentrionale tosco-umbro-marchigiana e meridionale del bacino Lagonegro-Molise.
All'interno di questa ipotesi di collegamento strutturale tra AP e il ACP, l'affinità faunistica tra l'icnosito di Esperia e il coevo di Lama Paterno (Bisceglie), come la co-presenza di teropodi e sauropodi, potrebbe essere interpretata come prova di una possibile connessione geografica tra le piattaforme appenniniche e pugliesi durante l’Aptiano e, di conseguenza, l'esistenza di ponti terrestri almeno temporanei tra le due piattaforme.
Questi ponti terrestri probabilmente hanno permesso ai dinosauri, in grado di nuotare solo per un breve periodo e per una breve distanza come la maggior parte degli animali terrestri, di superare camminando le suddette vie di navigazione intrapiattaforma; l'ipotesi alternativa è che il settore Lazio-Abruzzo dell'ACP avesse un contorno sfrangiato, ereditato dalla fase tettonica del Giurassico inferiore e verso il quale le depressioni erano probabilmente chiuse nella loro zona meridionale.
Tuttavia la nuova ipotesi solleva nuovamente la questione se le impronte di dinosauri della regione periadriatica sono una finestra stratigrafica di abitazione più o meno prolungata o una registrazione di ripetute immigrazioni.
Un sistema di deposizione della piattaforma carbonatica è influenzato da diversi fattori come quelli biogenici (cambiamenti evolutivi, fabbrica di carbonato),oceanografici (clima, temperatura e salinità, nutrienti,penetrazione della luce, circolazione dell'acqua e ossigenazione), tettonica (subsidenza e sollevamento) e ovviamente cambiamenti eustatici. In una successione di piattaforme carbonatiche, il turnover ciclico delle facies piane subaeree, subtidali e tidali è facilmente distinguibile e la documentazione stratigrafica è il risultato del continuo sforzo della piattaforma carbonatica per controbilanciare l'effetto combinato di tutti i fattori sopra menzionati, che talvolta potrebbero portare a cambiamenti ambientali geologicamente improvvisi, cambiamenti come l'emersione o l'annegamento della piattaforma.
Queste ripetute variazioni probabilmente hanno influenzato anche la persistenza dei dinosauri nell'area periadriatica, per cui sembra che vi sia stata un'occupazione continua per gran parte del Cretaceo difficile da immaginare mentre è più probabile l'ipotesi di ripetute immigrazioni.
All’interno di questo quadro è più difficile da giustificare la co-presenza di sauropodi e terpodi durante l'Aptiano sulle piattaforme ACP e AP con la loro connessione geografica che con due distinti flussi migratori vie toriorie dalla vicina massa continentale.
In questo modello l'area periadriatica è interpretata come un'ampia piattaforma epicontinentale, caratterizzata dalla persistenza di condizioni di acque basse, collegata alla massa continentale principale e localmente tagliata da bacini superficiali o profondi.
L’ipotizzato collegamento geografico tra l'AP e l'ACP probabilmente durò per la maggior parte del Cretaceo, e il loro collegamento intermittente con il margine continentale meridionale almeno fino al Cenomaniano antico, probabilmente attraverso la Piattaforma Panormide e ad ovest delle piattaforme carbonatiche pelagiche Trapanesi e saccense, o attraverso altri elementi paleogeografici oggi non riconoscibili a causa della tettonica.
La geodinamica della Piattaforma Panormide (Pa) sembra, infatti, essere coerente con la presenza di un settore crostale che collega il Gondwana e la piattaforma appenninica e separa la Teti ionica dalla Teti alpina.
L'attuale separazione tra Panormide e le piattaforme appenniniche sono probabilmente il risultato della fatturazione di un'enorme piattaforma carbonatica orientata NNE (compreso Pa e ACP) indotta dalla deriva verso sud-est del blocco labriano durante il Neogene, come suggerito dalla rotazione paleomagnetica opposta della Sicilia e Appennino Meridionale.
Questo scenario potrebbe spiegare il verificarsi della coevoluzione di faune in luoghi diversi, senza invocare evoluzioni parallele o endemiche e quindi preferenza data al modello di dispersione a quello della vicarianza.

Conclusioni

L'affioramento di Esperia costituisce la prima testimonianza di dinosauri della piattaforma appenninica. Le tracce dei tridattili vengono riferite a teropodi di piccole dimensioni, mentre le impronte non tridattili sono attribuite a sauropodi di medie dimensioni. Il dino-assemblamento mostra affinità con quello coevo di Bisceglie riferito al dominio della Piattaforma carbonatica apula. Questo articolo propone quindi una connessione geografica tra le piattaforme Appenniniche e Apule durante l'Aptiano come suggerito anche dai dati geologici e geofisici.

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